Nati e cresciuti in Italia, ma senza i diritti dei cittadini.
ROMA - La legge Italia non prevede lo Jus soli, il diritto di cittadinanza acquisito per il semplice fatto di essere nati in Italia. La condizione giuridica dei bambini di origine straniera nati in Italia è da un lato strettamente legato alla condizione dei genitori: se i padri ottengono la cittadinanza - dopo 10 anni di residenza legale - questa si trasmette anche ai figli sulla base dello Jus sanguinis.
Dall'altro, la legge prevede che i minori di orgine straniera nati in Italia possano fare richiesta di cittadinanza al compimento del 18° anno di età (ed entro il compimento del 19°) a condizione che siano in grado di dimostrare di aver vissuto ininterrottamente sul territorio italiano.
In questo quadro normativo, la condizione di questi bambini è esposta a una serie di fragilità di natura burocratica e di fatto che rendono spesso difficile l'acquisizione dei requiti previsti dalla legge. Basta, ad esempio, che un minore sia rientrato per qualche mese nel Paese dei genitori per interrompere il decorso dei termini; anche essere stati iscritti in ritardo all'anagrafe, magari per la temporanea condizione di irregolarità del genitore, fa slittare l'inizio del termine dal quale far decorrere i 18 anni minimi per poter fare domanda.
Il risultato pratico delle scelte legislative italiane in fatto di cittadinanza (legge 91 del 1992 e modifiche successive) è che centinaia di migliaia di bambini di origine straniera vivono in una sorta di limbo del diritto, essendo italiani di fatto (per essere nati, cresciuti ed aver fatto le scuole in Italia), ma restando esclusi da tutta una serie di diritti per i quali è prevista espressamente la cittadinanza italiana.