di Angela Pittari
“Del maiale non si butta via niente!” Il maiale fa parte della nostra cultura, ha accompagnato intere generazioni nella quotidianità, è stato motivazione di aggregazione servito in superlativi banchetti ed ha dato luogo a piatti di alta arte culinaria.
Per anni è stato una sicurezza, una garanzia di abbondanza, un buon auspicio per chi lo alleva, un piacere per chi assaggia le sue carni gustose e nutrienti, i suoi salumi profumati e saporiti. Il maiale era una tranquillità per le famiglie contadine, era una eredità certa per l’inverno, quasi una dote e la sua macellazione era attesa come un rito, il peso della bestia, lo spessore del lardo era l’orgoglio del capofamiglia, il rendimento delle carni in prosciutti, capocolli e salsicce un vanto, una giustificata fierezza. Nei periodi di grande carestia era una ricchezza, poter contare anche sugli scarti delle carni era una valida alternativa alla fame assicurata.
Ma la qualità delle carni in genere e quindi anche della carne di maiale, evolve nel tempo sotto la spinta dei numerosi fattori genetici, ambientali e alimentari. Il consumatore, oggi più che mai, attore di qualità, condiziona i processi produttivi che devono rispecchiare le necessità e le esigenze della nutrizione moderna, e la carne attualmente reperibile sul mercato … non è più quella di una volta … è migliore!!!!!
E’ migliore perché è stato possibile ottenere, tanto con l’allevamento estensivo quanto con quello convenzionale, carni sempre più sicure (prive di parassiti), magre ( “….. il maialino è dimagrito!!!!!”) e comunque dotate di elevate proprietà nutrizionali e dietetiche per l’alto contenuto di proteine nobili . L’impiego di mangimi a base di mais, orzo, soia, crusca ed altri alimenti semplici vegetali, ha permesso di migliorare ancora di più il profilo nutrizionale della carne suina assicurando una più alta concentrazione di ferro, selenio, zinco,rame e vitamine idrosolubili (B1,B2,B12 ) rendendola un alimento sempre più adeguato a rispondere alle esigenze degli stili di vita. E non solo, i tagli magri di suino, costituiscono un cibo quanto mai indicato per chiunque, bambini , anziani, atleti, donne in gravidanza o in allattamento, perfino per chi deve osservare un regime ipocalorico, ed ancora in convalescenza o in casi di inappetenza come durante l’adolescenza, in caso di deficit proteico, di malattie debilitanti o di interventi chirurgici.
In passato venivano allevati maiali le cui carni e soprattutto il grasso venivano conservati per un anno intero ed anche più; essi dovevano fornire un alimento carico di energia e il loro alto contenuto in grassi saturi, resistenti all’ossidazione e all’irrancidimento, assicuravano una lunga conservazione di lardi e pancette. Gli uomini di una volta avevano però un’ intensa attività di lavoro muscolare, spesso in ambienti freddi e dunque vi era una stretta corrispondenza tra le caratteristiche dei maiali da grasso e lo stile di vita delle persone che se ne nutrivano.
Oggi il brusco cambiamento degli stili di vita, il conseguente cambiamento delle necessità alimentari, la diminuzione del lavoro fisico, l’allungamento della vita media ha portato alla necessità di allevare un maiale (“magro da carne”) in grado di fornire carni e grassi con alta efficienza e plasticità nutrizionale. E’ stato diminuito così il grasso nella giusta misura (non oltre la il 3% pena la perdita della morbidezza e del sapore della carne), diminuendo la quantità di grassi saturi a favore di quelli insaturi e polinsaturi (omega 3). Anche il contenuto in colesterolo è stato diminuito e così il maiale moderno , pur essendo un onnivoro , a differenza del passato quando veniva nutrito con gli avanzi di cucina, oggi segue una dieta equilibrata ,essenzialmente vegetariana quindi povera di colesterolo. D’altra parte ricordiamo che il colesterolo,non può essere diminuito più di tanto, poiché esso è contenuto nella carne e non nel grasso ( a differenza dei trigliceridi) facendo parte imprescindibile della membrana cellulare di tutte le cellule animali.
Alla luce di questi cambiamenti in molte ricette, anche quelle più salutistiche consigliate dai moderni nutrizionisti, compare sovente la carne fresca del maiale nei suoi tagli nobili (lonza, filetto, coscio,spalla..) in cui il poco grasso, sempre ben separabile dalla parte magra, ha un contenuto in colesterolo decisamente inferiore rispetto al passato ( da 88 è passato a 57mg/100 g!!!!).
E per seguire i consigli di quelle stesse diete, oltre che al taglio, grande attenzione deve essere riservata alla modalità di cottura di ogni tipo di carne ( compresa quella suina) , e se le preparazioni alla griglia e alla piastra diminuiscono il pericolo di contaminazione da microrganismi (Trichinella Spiralis) e rendono la carne più saporita e digeribile è anche vero che le alte temperature concorrono a formare sostanze come le ammine eterocicliche e gli idrocarburi aromatici in grado di danneggiare il DNA quindi potenzialmente tossici , mutageni e cancerogeni ( questi si trovano abbondantemente nella classica “ crosta bruciacchiata” della carne alla griglia). Da qui la raccomandazione di evitare una cottura eccessiva (un mito da sfatare), rimuovere le eventuali parti nere bruciate e prediligere forme di cottura lenta più sana..
Nell’ottobre del 2015 l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (AIRC) valutando e classificando le prove di cancerogenicità delle sostanze, ha definito le carni rosse in generale ,come “ probabilmente cancerogene” e quelle lavorate come” sicuramente cancerogene”. La notizia rimbalza su tutti i media, la WHO (World Health Organization) ha sentenziato: “…la carne rossa fa venire il cancro”!!!!! Seguono articoli , interviste, speciali, stati sui social, interpellanze ad esperti …… suscitando un allarmismo eccessivo, distorcendo quella che in realtà è un’accurata valutazione delle prove che la scienza ha a sua disposizione...
In realtà gli studi epidemiologici presi in considerazione dall’AIRC hanno accertato, sulla base di prove forti, la relazione tra sviluppo del cancro (in particolare del colon retto) e il consumo di carni lavorate ovvero quelle essiccate, salate, fermentate,affumicate,trattate con conservanti (nitrati e nitriti) per esaltarne il sapore , quindi salumi in genere e wurstel .La maggior parte degli studi in questione concorda nell’indicare un aumento del rischio del 18% per un consumo giornaliero di 50 grammi di carni lavorate.
Il rischio di cancro legato al consumo di carni rosse fresche è invece molto più difficile da stimare per l’assenza di prove altrettanto forti. Tuttavia, se le associazioni osservate implicassero un’effettiva casualità, i dati degli stessi studi suggeriscono che il rischio per tumori del colon e del retto possa aumentare del 17% per ogni 100gr di carne rossa consumati ogni giorno.
Pertanto il consumo modesto (3 volte la settimana e comunque meno di 500 gr a settimana) di carni rosse, compresa quella suina, non sembra aumentare in modo sostanziale il rischio di ammalarsi di cancro del colon retto in individui a basso rischio di partenza.
Le persone ad elevato rischio individuale (per familiarità o altre patologie associate) invece dovrebbero seguire un piano alimentare personalizzato che preveda un ridotto apporto di carni rosse e/o lavorate laddove è veramente opportuno considerando che nella carne vi sono alcuni nutrienti (come la vitamina B 12 e il ferro) che potrebbero essere comunque preziosi per il loro benessere.