A cura di Nika Filipponio
L’allattamento in epoca greca e romana
“La donna è metà madre per partorire e metà madre per nutrire il suo frutto: essa diventa madre intera solo quando nutre i suoi figli al seno”.
Marco Aurelio
Ippocrate di Coo e Sorano di Efeso
Il primo grande rappresentante della medicina greca, che si interessò della salute della donna e del bambino, fu Ippocrate di Coo (V° secolo a. c. –460/377 ca. a. C.) Nel suo “Corpus Hippocraticum” si fa cenno, per la prima volta, alla nutrizione del neonato ed al mistero della formazione del latte materno, per il quale il medico greco ipotizzò una relazione diretta tra utero e seni, relazione che avrà una rilevanza fondamentale fino al XVIII° secolo.
Ma per trovare dei veri precetti di puericultura, dedicati all’assistenza del neonato e all’allevamento del bambino nei primi mesi di vita, dobbiamo aspettare Sorano di Efeso (98 – 138 d. C.). Il maestro efesino che, dopo aver studiato alla scuola di Alessandria, visse a Roma nella prima metà del II° secolo d.C. (sotto gli imperatori Traiano e Adriano) nella sua unica opera superstite: Gynecia, fornì consigli pratici sulle modalità dell’allattamento al seno, come ad esempio quale fosse la posizione migliore per allattare e quale posizione dovesse assumere il bambino dopo aver poppato. L’invito, che rivolse ai lettori del suo trattato, fu di perseguire la moderazione nel numero delle poppate, sconsigliando di allattare in qualunque momento della giorno e della notte, oppure ad ogni pianto del bambino. Egli, inoltre, affermò come fosse necessario alimentare il poppante, per i primi due giorni di vita, solamente con miele bollito e di aspettare altre 20 prima di attaccarlo al seno della madre, nutrendolo, nel frattempo, con il latte di altra donna. Questo accorgimento fu conseguenza della sua personale convinzione , che influenzò i secoli a venire, che il latte della madre per circa 20 giorni fosse inadatto ed indigesto per il neonato, a causa del travaglio del parto e delle abbondanti emorragie ad esso conseguenti; la sua convinzione contrastava, però, con l’opinione di un certo Damaste (citato polemicamente da Sorano stesso) che, invece, consigliava di attaccare il neonato al seno della madre subito dopo la nascita, per consentire in tal modo una più rapida ed abbondante formazione del latte. Nonostante la forte difesa dell’allattamento materno, Sorano non si oppose, in caso di reale impedimento, al passaggio all’allattamento mercenario, affermando che “come la terra dopo che ha dato i suoi frutti si indebolisce e per alcun tempo diviene sterile, così anche la donna che allatta può invecchiare anzitempo” per il quotidiano impegno alimentare. La sua attenzione si concentrò, quindi, sulla scelta della nutrice, fissando dei canoni fondamentali, che saranno seguiti nei secoli successivi, perché la ricerca della balia fosse la più oculata e giusta possibile. “Bisogna scegliere la nutrice non più giovane di 20 anni, non più vecchia di 40 anni, che abbia partorito due o tre volte, sana, vigorosa, di regolare complessione corporea, di bel colorito, che abbia seno ben sviluppato, rigonfio, molle , senza righe, capezzoli non troppo grandi, né troppo piccoli, né troppo stretti, né troppo porosi e che diano abbastanza latte, che sia saggia, non proclive all’ira, greca e pulita”.
Sorano dedicò un intero capitolo alle regole alimentari e fisiche che la nutrice doveva seguire nella vita quotidiana, per poter assolvere ai suoi doveri nel modo migliore specificando anche le attività consigliate per sviluppare i muscoli pettorali: giocare a palla, sollevare pesi, trasportare catini e rifare i letti.
Le divinità femminili precristiane, che presiedevano e proteggevano l’allattamento ed i bambini, potrebbero essere definite “madri di latte”: nel pantheon greco romano erano identificate nella dea greca Hera e nella dea romana Giunone che allattavano rispettivamente Eracle ed Ercole (la dea etrusca Uni allattava Hercle) ed in Artemide e Diana di Efeso spesso raffigurate con molte mammelle e considerate dee della medicina,. Ad esse si aggiungono la dea romana Rumina (da ruma che significa mammella) che favoriva la produzione corretta e costante del latte materno, la dea romana Nutrix Augusta e le dee etrusche Menvra e Artumes. In Magna Grecia si trovano esempi di statuette in terracotta di figure femminili allattanti (fine VI° - V° sec. a.C.) che si pensa possano testimoniare un culto italico dedicato ad una divinità simile a Demetra.
L’elogio dell’allattamento materno
A Roma l’allattamento materno fu strenuamente difeso da filosofi, medici, eruditi e giureconsulti da Aristippo (435-366 a. C.) a Cicerone (106-43 a. C.), da Favorino (80-150 d. C.) ad Ulpiano (II° sec. d. C.). Il moralista Plutarco (50-120 d.C.) affermò che la Natura aveva scelto per il seno una posizione alta rispetto al resto del corpo della femmina umana, perché ella potesse abbracciare ed affezionarsi al figlio mentre lo stava allattando. L’autore cristiano pensava prima di tutto al bene del bambino: infatti scrisse che “la protezione dell’infanzia era un dovere umano e sociale”.
A differenza dei primi tempi della repubblica Romana, nei quali l’allattamento materno fu compito fondamentale delle madri, si andò diffondendo sempre di più l’usanza dell’allattamento mercenario, a tal punto che l’autorità imperiale dovette intervenire per incentivare quello materno; infatti Antonino Pio (86-161 d. C.) stabilì ricompense in favore dell’allattamento materno e Marco Aurelio (121-180 d.C.) decretò “che la donna è metà madre per partorire e metà madre per nutrire il suo frutto; essa diventa madre intera solo quando nutre i suoi figli al seno”.
Proprio in questo contesto si inserì l’Elogio delle allattamento materno nelle “Notti Attiche” dello scrittore latino Aulo Gellio (Roma 130 d.C.) che, riportando il discorso fatto dal suo maestro Favorino di Arelate (retore gallo romano di Arles, l’antica Arelate) alla moglie di un suo discepolo, che aveva appena partorito e non aveva intenzione di allattare al seno il suo bambino, disse: “O donna ti prego lascia che costei sia completamente madre di suo figlio! Cos’è questo voler andare contro natura? Questo essere madre a metà e non sino in fondo? Questo creare e subito allontanare da sé ciò che si è creato? Aver nutrito nell’utero, col proprio sangue una creatura quando ancora non la si vedeva e non vederla nutrire col proprio latte quando la si vede, quando orami vive, quando è già creatura umana e implora da chi l’ha messa al mondo che compia il suo ufficio di madre”.
Galeno e l’emogenesi del latte
Le perfezione del latte materno fu esaltata anche da Galeno di Pergamo (138-201 d. C.), il più grande medico greco dopo Ippocrate, che, nella sua opera “De sanitate tuenda”, affermò “…la provvida natura ha preparato per il neonato un alimento perfetto umido e caldo(secondo il classico schema ippocratico delle costituzioni) – il latte materno – e lo ha provveduto della sua innata capacità ad usarlo. Infatti il bambino appena nato allorché la madre introduce il capezzolo nella sua bocca, si attacca ed inghiotte prontissimamente”.
Galeno soffermò la sua attenzione sull’importanza delle prime impressioni che si fissavano, attraverso il latte nell’animo del neonato; era un concetto presente nella società romana, infatti” la moglie di Catone il Vecchio allattava simultaneamente il proprio figlio e quelli degli schiavi, affinché questo comune nutrimento ispirasse ai secondi l’affetto per il primo”. L’intuizione del grande medico di una trasmissione tra madre figlio di qualche cosa che andava oltre al semplice liquido, carica di grande fascino e di completezza l’atto materno dell’allattamento al seno.
Il grande medico ripropose nella sua opera “De usus partium”, l’idea di un collegamento (consensus) fra mammella ed utero, che era stata già ipotizzata da Ippocrate ed in seguito anche da Aristotele, ma legandola ora ad una specifica teoria sulla formazione del latte. Questa teoria identificava nel sangue il liquido corporeo fondamentale, che collegava, tramite arterie e vene, in maniera bidirezionale, mammella ed utero, in modo da nutrire sia il feto (flusso verso il basso), sia il neonato (flusso verso l’alto). Il latte, come anche lo sperma, si sarebbe formato per” cozione” (cioè cotto e sbiancato attraverso la circolazione dei vasi sanguigni). La spiegazione, e qui sta la vera novità, era fondamentalmente centrata non tanto sul principio metafisico del calore vitale, ma sull’osservazione accurata dei percorsi del sangue nel corpo, che avveniva attraverso la dissezione delle vene e delle arterie; da qui nacque la cosiddetta teoria della “emogenesi del latte”, che tanta fortuna riscosse nei trattati di anatomia e fisiologia fino al 1700.
Galeno ritenne l’allattamento incompatibile con il coito e questa incompatibilità derivava proprio dalla teoria testé citata: infatti dal momento che, secondo lui, il latte si formava per cozione, sbiancamento del sangue, il latte della nutrice poteva “essere buono solo se il suo sangue è buono e abbondante.” E il rapporto sessuale interferisce con la distribuzione del sangue nel corpo della donna. “Ordino a tutte le donne che allattano i bambini di astenersi completamente da Venere. Infatti il rapporto con l’uomo provoca i mestrui e il latte si deteriora assumendo un cattivo odore. Anche Sorano aveva affermato precedentemente che “…il coito raffredda l’affetto per il lattante a causa della distrazione del piacere sessuale” ed inoltre “guasta e diminuisce il latte o lo fa cessare addirittura in quanto stimola la purificazione mestruale attraverso l’utero, oppure provoca il concepimento“.
E tali esortazioni segnarono profondamente i comportamenti sociali e le abitudini sessuali fino al Rinascimento.
L’influenza del culto della idea egizia Iside si diffuse a macchia d’olio in tutto il bacino del Mediterraneo, dapprima nella cultura greca con la conquista dell’Egitto da parte di Alessandro Magno nel 332 a. C. ed in seguito nel mondo romano con la conquista della terra dei Faraoni da parte di Augusto nel 31 d. C. ma la diffusione del culto si accentuò nel I° e II° sec. D. c. con una massiccia importazione a Roma di opere d’arte. Quindi la raffigurazione della dea Iside che allatta Arpocrate (Horus bambino) divenne ben nota ai pittori cristiani di Roma dei primi secoli del Cristianesimo. Per la nascita della iconografia della Vergine che allatta il Bambino sembrerebbe quindi essere stato determinante l’apporto della arte alessandrina e copta dal momento che l’Egitto fu centro di diffusione più importante della raffigurazione della Iside Lactans
A sinistra Iside che allatta Horus dal British Museum di Londra; a destra Iside che allatta Catacomba di S. Priscilla Roma sec. II° d.C.