a cura di Giovanni Fasani - Cremona
L’ADHD (Attention-deficit / hyperactivity disorder) è, come tutti sappiamo, un disturbo ad esordio precoce (prima dei 7 anni, ma generalmente prima dei 3-4 anni), caratterizzato da iperattività-impulsività e/o disturbo dell’attenzione, non riferibile ad altri disturbi, presente da almeno 6 mesi, che si manifesta in diversi contesti, e determina una significativa compromissione funzionale (scuola, tempo libero, famiglia, relazioni sociali, ecc.) (DSM IV, 1994). Ma chi furono i primi medici a dare un volto questa sindrome? E’ opinione comune che la prima descrizione risalga con ogni probabilità al medico scozzese Alexander Crichton (1763 – 1856) (fig. 1), che nella sua opera in due volumi, “An Inquiry Into the Nature and Origin of Mental Derangement: Comprehending a concise System of the Physiology and Pathology of the human Mind and a History of the Passions and thei effects” edita Londra nel 1798, (fig. 2) descrisse una sindrome che sembrava avere caratteristiche molto simili al deficit di attenzione dell’ADHD. Nel secondo capitolo del libro II (p. 254 e sgg.), sotto il significativo titolo “On attention, and its Diseases”, il Crichton così definiva il significato della capacità di attenzione: “When any object of external sense, or of thought, occupies the mind in such a degree that a person does not receive a clear perception from any other one, he is said to attend to it”. L’incapacità di partecipare allo stimolo esterno, diceva Crichton, si traduce in una difficoltà nel mantenere l’attenzione, difetto che egli riteneva connatale e che quindi si rendeva evidente molto precocemente entro il primo periodo della vita. Il disturbo, caratterizzato da facile distraibilità, da iperattività e da impulsività, diveniva conclamato nell’età scolare, quando rendeva il bambino incapace di partecipare alle attività scolastiche. Non di rado, diceva il medico scozzese, questi bambini diventano aggressivi, sino “a rasentare la follia” Crichton, per il quale l'incapacità di mantenere un grado costante di attenzione per qualsiasi oggetto, derivava quasi sempre da una sensibilità patologica o innaturale dei nervi, aveva tuttavia osservato che tale disturbo andava comunque regredendo con l’età.
Dopo circa cinquant’anni un medico tedesco pose un tassello importante nella storia della sindrome dell’ADHD e lo fece in modo abbastanza curioso. Heinrich Hoffmann (1809 – 1894) aveva studiato medicina all’università di Heidelberg, approfondendo poi gli studi ad Halle ed a Parigi. Tra i suoi interessi principali spiccava la psichiatria. Ebbene Hoffmann nel 1845 scrisse un libro / filastrocca per bambini dal titolo “Der Struwwelpeter, ovvero storielle e immagini divertenti per bambini dai 3 ai 6 anni” (fig. 3), da lui stesso disegnate, nel quale descriveva le malefatte di un bambino che presentava tutte le caratteristiche del bambino iperattivo e impulsivo. Esemplare la scenetta nel quale il bambino, soprannominato anche Zappelphilipp, sordo agli ammonimenti dei genitori, che lo invitavano alla calma e alla compostezza. Alla fine, dopo essersi dimenato e dondolato sulla sedia, si tira addosso la tovaglia con tutte le stoviglie, le posate e le bottiglie. Lo scopo delle filastrocche, doveva essere essenzialmente educativo, illustrando in modo esagerato, le conseguenze di comportamenti sbagliati nei bambini: igiene personale, distrazione congenita, gioco con oggetti pericolosi, essere disobbedienti, crudeltà verso gli animali, ecc. In Italia il libretto venne tradotto da Gaetano Negri ed edito dalla casa editrice Hoepli nel 1882. Il celebre Mark Twain aveva curato una traduzione inglese già nel 1848. Secondo alcuni autori moderni, come Jacobs (2004) e Köpf (2006), quella di Hoffmann potrebbe essere considerata come la prima vera descrizione dell’ADHD.
Hoffmann fu amico di molti artisti e studiosi, tra i quali un giovane pittore di nome Heinrich von Rustige (1810–1900), che nel 1838 dipinse un quadro dal titolo „Unterbrochene Mahlzeit“ (il pasto interrotto), che verosimilmente ispirò Hoffmann per il suo Zappelphilipp.
Nel 1889 Thomas Smith Clouston (1840-1925) ipotizzò che i bambini iperattivi e con disturbi del comportamento fosse affetti da una condizione di overactive neurons in the higher cortexes of the brain. Il consiglio terapeutico di Clouston era quello di utilizzare il bromuro come sedativo. Agli inizi del XX secolo fu il pediatra inglese George Still (1868 – 1961) ad interessarsi dei bambini affetti da iperattività e disturbi dell’attenzione (fig. 6). Lo Still è peraltro a noi noto per aver osservato e segnalato nel 1897 ventidue bambini affetti da disturbi caratterizzati da dolori articolari, febbre ed esantemi, quadri patologici che vennero successivamente denominati “artrite reumatoide dell’infanzia” e che ancor oggi, non di rado, vengono citati con l’eponimo di morbo di Still. Il pediatra inglese nel descrivere i bambini con i sintomi dell’ADHD, introdusse il concetto di “deficit del controllo morale”. Egli riteneva che i disturbi comportamentali potessero essere spiegati con la mancanza di “morale”! Lo Still nel 1902 presentò una serie di tre letture presso il Royal College of Physicians nelle quali descriveva 43 bambini con seri deficit di attenzione (Fig. 7). In esse sosteneva, in accordo con William James (1890-1950), che ciò che noi definiamo “attenzione” può essere un elemento importante nel "controllo morale del comportamento". Sia secondo lo Still, che secondo il Tredgold, di cui accenneremo appena dopo, i disturbi comportamentali di questi bambini comportavano spesso “illegalità, cattiveria, crudeltà e disonestà, immoralità sessuale” (!) nonché la mancata risposta alle forme tradizionali di disciplina, di qui la definizione di “defect in moral control”. Non solo, lo Still aveva anche osservato come questi bambini presentassero una straordinaria insensibilità verso qualunque forma di punizione. Ma che cosa intendeva Still per “controllo morale normale nell’infanzia”? Ce lo diceva agli stesso: è il controllo delle proprie azioni in conformità con l'idea del bene di tutti. Lo Still fu probabilmente in parte influenzato dal lavoro dello psicologo William James (1842-1910). Questi, nei suoi Principi di psicologia (1890), osservava: "Everyone knows what attention is. It is the taking possession by the mind in clear and vivid form, of one out of what seem several simultaneously possible objects or trains of thought… “ e l’attenzione implica la capacità di distogliere rapidamente l’attenzione da alcuni ‘oggetti’ in modo da affrontare efficacemente la presenza di altri. Secondo Russell Barkley (2006) ed altri, nonostante alcune delle osservazioni di Still siano poco pertinenti e forzate, i primi scienziati ad aver posto "seria attenzione clinica" ai disturbi del comportamento furono proprio George Still e Alfred Tredgold.
Alfred Frank Tredgold (1870 – 1952) nel suo volume Mental deficiency (Amentia) edito a Londra nel 1908, descrisse alcuni casi clinici di bambini con sintomi ascrivibili ad una sindrome simile all’ADHD. Secondo il Tredgold i bambini da lui descritti presentavano un elevato grado "di debilità mentale”, forse successiva ad una forma di danno cerebrale, che causava loro una sindrome con anomalie di comportamento e scarso rendimento scolastico. Sulla scia di Tredgold, tra il 1917 ed il 1918, il diffondersi di un’epidemia di encefalite fece sì che molti pediatri descrivessero un aumento del numero di pazienti con sintomi di iperattività, mancanza di concentrazione e impulsività, ma anche irritabilità comportamento antisociale e rendimento scolastico del tutto insufficiente. Si pensò allora che questi comportamenti con sintomi analoghi a quelli dell’ADHD fossero il risultato di un danno cerebrale da encefalite epidemica. Notarono tuttavia che molti di questi bambini durante lo sviluppo presentavano un intelligenza normale, tanto da ribattezzare il disturbo come “minimal brain damage”. Il termine verrà riproposto come “Minimal Brain Dysfunction” nel 1960 da Alfred Strauss e Laura Lehtinen nei loro lavori Psychopathology and Education of the Brain-Injured Child e The Other Child. The Brain-Injured Child. Nel 1932, i medici tedeschi Franz Kramer and Hans Pollnow pubblicarono un articolo dal titolo Über eine hyperkinetische Erkrankung im Kindesalter” ovvero la descrizione di una malattia ipercinetica dell’infanzia. I casi da loro osservati presentavano sintomi sovrapponibili a quelli dei disturbi del comportamento del tutto simili alla sindrome ADHD. Bambini che messi in una sala accendevano e spegnevano le luci di continuo, spostavano le sedie, giravano in tondo, salivano sui tavoli, lanciavano oggetti dalle finestre e battevano i giocattoli sul pavimento senza giocare. La loro incapacità di concentrarsi sfociava in un deficit dell’apprendimento e in un deterioramento delle capacità intellettuali. Nel campo della terapia bisogna attendere Charles Bradley, il quale nel 1937 ottenne, in alcuni bambini con problemi di comportamento, cambiamenti spettacolari dopo una settimana di trattamento con benzedrina (amfetamina R1557211). Quattordici bambini su trenta mostrarono miglioramenti eclatanti sia nel comportamento, che nel rendimento scolastico (Fig. 8). Le ricerche successive confermarono i benefici degli psicostimolanti nel trattamento del disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD), tanto che l'osservazione di Bradley viene considerata una tra le più importanti scoperte delle terapie psichiatriche. Ma la vera rivoluzione nella storia della terapia dell’ADHD arriva nel 1944 con la sintesi da parte di Leandro Panizzon nei laboratori CIBA del metilfenidato (commercializzato dal 1954 come Ritalin) e con gli studi di Herbert Freed and Charles Peifer nel 1956 sugli effetti terapeutici della Thorazine (chlorpromazine). Da notare infine che i termini “Attention Deficit Disorder” e soprattutto quello di “Attention Deficit Hyperactive Disorder” sono decisamente più recenti e risalgono rispettivamente al 1980 ed al 1987.