Il “vaiolo arabo” o “mostro maculato”, come veniva talora definito nei secoli passati, arrivò in Europa probabilmente intorno al 900 d.C. ed ebbe poi ampia diffusione in seguito al ritorno dei crociati dalla Terra Santa. Un flagello terribile: la mortalità variava tra il 20% ed il 60% e quelli che sopravvivevano rimanevano spesso ciechi e pesantemente sfigurati. Nei bambini la mortalità raggiungeva anche l’80 % - 90 %. Il vaiolo venne dichiarato scomparso dall’OMS nel 1980 e la sua storia è emblematica nel capitolo della prevenzione delle malattie infettive virali e non. Tra i primi a descrivere accuratamente il vaiolo, distinguendolo dal morbillo, vi fu il medico arabo Rhazes (Muhammad ibn Zakariya al-Razi, 865 - 925 ), che ne indicava la clinica, la terapia ed i suggerimenti per limitare i danni estetici dovuti alla devastante eruzione cutanea. Avicenna (Abu Alì al-Ḥusayn ibn Abd Allah ibn Sina, 980-1037), altro famoso medico arabo, descrisse minuziosamente il vaiolo ed i suoi rimedi nel quarto volume del Canon medicinae, tradotto dall’arabo da Gherardo da Cremona. Almeno quattro eventi eclatanti dimostrano come la violenza del vaiolo sia stata in grado di modificare il corso della storia. Il primo riguarda Cristoforo Colombo (1451 – 1506). I nuovi microbi portati dai marinai della Nina, della Pinta e della Santa Maria, ebbero infatti un impatto devastante sugli abitanti del luogo. Quando l’esploratore genovese sbarcò nel 1492 ad Hispaniola (oggi Santo Domingo / Haiti) , l'isola caraibica aveva oltre mezzo milione di abitanti, che si ridussero della metà nel giro di venti anni. Molti morirono per mano degli invasori, altri di fame, ma la maggior parte degli isolani morì per malattie epidemiche sino ad allora sconosciute come il vaiolo. Il secondo episodio riguarda Fernando Cortes (1485 – 1547) e l’invasione della città azteca di Tenochtitlán (oggi Città del Mexico). Pur avendo subito una dura sconfitta dagli aztechi di Montezuma (1466 – 1520), i soldati spagnoli lasciarono sul campo di battaglia una sorta di bomba a orologeria sotto forma di soldati morti con infezione vaiolosa. In poche settimane nella capitale azteca morirono un quarto degli abitanti spianando la strada alla successiva vittoria degli spagnoli, che rasero al suolo Tenochtitlan nel 1521. Il terzo episodio è riferito a Francisco Pizzarro (1475 – 1541) ed alla conquista dell’impero Inca (1532), favorita anch’essa dalle epidemie di vaiolo scoppiate nelle popolazioni locali. Un ultimo episodio, ancor più drammatico, riguarda la guerra indiana combattuta tra il 1754 ed il 1767, quando Sir Jeffrey Amherst (1717 – 1797), comandante delle forze britanniche in Nord America, intenzionato a stroncare la resistenza della popolazione dei nativi nordamericani ostili agli inglesi, su consiglio dell’ufficiale Henry Boquet (1719 – 1765), fece uso deliberato del vaiolo attraverso la consegna di coperte infette agli indiani. Le terapie per il vaiolo erano praticamente inutili. Il Sydenham ad esempio osservò che la mortalità per vaiolo era più alta nei ricchi che nei poveri, ciò lo indusse a pensare che i medicamenti utilizzati fossero più dannosi, che utili. Di fronte alla pressoché totale impotenza terapeutica nei confronti del vaiolo, si fece strada la ricerca della prevenzione, sfociata dapprima nella variolizzazione (definita anche inoculazione o innesto o variolazione) e successivamente nella vaccinazione. I Cinesi furono probabilmente i primi a mettere in pratica un metodo di prevenzione del vaiolo nella provincia di Szechuan, già in epoca pre-cristiana. I primi esperimenti di variolizzazione consistevano nell’insufflare nelle narici polvere di croste vaiolose della fase terminale della malattia oppure nel provocare il contatto forzato con vestiti di malati in fase acuta. Veniva così provocato uno stato di malattia con la conseguente risposta immunitaria, anche se ovviamente all’epoca mancava qualsiasi nozione di immunologia. Tra le prime segnalazioni certe di questo metodo vi fu quella relativa al primo ministro cinese Wang Tan (957 – 1017). Quando nel 1014 gli morì il figlio di vaiolo, questi “ordinò” a medici, maghi e sapienti di trovare un rimedio alla malattia. Pare che un monaco eremita taoista, sulla scorta di alcune esperienze vissute, consigliasse appunto l’inoculazione. La variolizzazione si diffuse nel XVII secolo verso occidente. Sappiamo che i circassi utilizzavano l’innesto per evitare che il vaiolo sfigurasse le donne, che per loro rappresentavano un florido commercio! Dalla regione caucasica della Circassia, l’innesto si diffuse in Grecia e nella Tessaglia. Sembra che successivamente la tecnica sia arrivata in Turchia nel 1672 proprio per mezzo di “una femmina della Tessaglia” (Girtanner). Nell’Europa occidentale la pratica della variolizzazione fu introdotta intorno al 1720. I primi a caldeggiarne l’utilizzo furono Jacopo Pylarino (1659 – 1718) ed Emanuele Timoni, che esercitavano la professione medica a Costantinopoli agli inizi del XVIII secolo. Il Pylarino, che era nato a Cefalonia quando l’isola era sotto il dominio della Repubblica di Venezia, dopo essersi laureato in legge, aveva conseguito anche la laurea in medicina a Padova. Il Timoni invece, nato probabilmente a Costantinopoli da genitori italiani, aveva studiato medicina a Oxford ed a Padova. Il Timoni nel 1713 scrisse al medico naturalista inglese John Woodward (1665-1728), presidente del Royal College of Physicians di Londra, la lettera “ Historia variolarum quae per institutionem excitantur” per metterlo al corrente della pratica della variolizzazione, affinché potesse illustrarla ai componenti del Royal College. Nel 1721 pubblicò poi il trattato completo: Tractatus de nova… variolas per transmutationem excitandi metodo. Anche il Pylarino aveva raccolto informazioni sulla “femmina della Tessaglia” che si era sottoposta alla variolazione e scrisse a sua volta l’opuscolo “Nova, et tuta variolas excitandi per transplantationem methodus; nuper inventa et in usum tracta: qua rite peracta, immunia in posterum preservantur ab hujusmodi contagio corpora, stampato a Venezia da Gabriele Hertz nel 1715. Ma il frutto delle loro osservazioni non avrebbe avuta quella vasta eco che ebbe nell’immediato, se non ci fosse stato l’interessamento della moglie dell’ambasciatore inglese a Costantinopoli, Lady Mary Wortley Montagu (1689 – 1762) (Fig. 1), che nel marzo del 1718 aveva fatto ‘variolizzare’ il suo primo figlio dal medico chirurgo dell’Ambasciata, Charles Maitland. Lady Montagu si batté affinché la pratica della variolazione venisse introdotta in Inghilterra spingendo il Royal College of Physicians di Londra ad eseguire una prova che avesse valore dimostrativo.
Fig.1 - Lady Mary Wortley Montagu
Il primo esperimento di variolizzazione sul suolo inglese sarebbe stato quello eseguito dallo stesso Maitland con “royal license” su sei prigionieri delle carceri londinesi di Newgate il 9 agosto 1721. La prima regione italiana, nella quale venne eseguito l’innesto, fu la Toscana nel 1756, quando furono variolizzati sei bambini dell’Ospedale di S. Maria degli Innocenti. Tra i primi a diffondere la tecnica dell’innesto in Italia vanno annoverati: Angelo Gatti (1724 – 1798), professore di medicina all’Università di Pisa, e il dott. Gianmaria Bicetti Buttinoni (1708-1778), a cui il Parini dedicò persino un’ode dal significativo titolo “L’innesto”. In Italia vi fu un grande movimento a favore della variolizzazione anche per l’intervento di alcuni intellettuali dell’epoca dei lumi come Cesare Beccaria e Pietro Verri, che vi dedicò l’ultimo numero della famosa rivista “Il caffè”. Ma quello che vogliamo sottolineare è come a partire dagli anni 60 – 70 del XVIII secolo, oltre vent’anni prima di Edward Jenner (Fig. 2) , siano state fatte alcune osservazioni ed alcuni esperimenti riguardanti la vaccinazione, ovvero l’inoculazione non più con il materiale proveniente da pustole del vaiolo umano, ma da quelle del vaiolo vaccino, il cow-pox, malattia caratterizzata dalla presenza di pustole vaiolose sulle mammelle delle vacche malate.
Fig. 2 - Edward Jenner
Tra questi precursori, il primo di cui abbiamo notizia è John Fewster (1738 – 1824), chirurgo-farmacista a Thornbury nel Gloucestershire, un villaggio a sette miglia da Berkeley, città natale di Jenner. Nel 1763 Fewster aveva notato che uno di due fratelli, di nome Creed, non era recettivo alla variolizzazione. Fewster osservò anche che questi non era mai stato malato di vaiolo, ma era stato infettato precedentemente con il cow-pox. Fewster formulò allora l’ipotesi che l’infezione da vaiolo vaccino potesse in qualche modo lasciare una protezione verso il vaiolo umano. Pare che lo stesso Fewster esponesse i suoi “sospetti” a pranzo, durante un Convivio della Società Medica di Alveston nei pressi di Thornbury, dove aveva come commensali Joseph Wallis e Daniel Ludlow, un farmacista di Berkely accompagnato dal suo giovanissimo apprendista Jenner (Creighton C., 1889). Nel 1765 Fewster presentò una relazione alla London Medical Society dal titolo “Cow-pox and its ability to prevent small-pox”, che però non venne mai pubblicata. Dopo Fewster ricordiamo Benjamin Jesty (1736 – 1816) (Fig. 3).
Fig.3 - Benjamin Jesty
Questi era un agricoltore di Yetminster nella zona rurale del Dorset nel sud dell’Inghilterra. Il Jesty era rimasto incuriosito dalla credenza popolare secondo la quale i soggetti infettati con il cow-pox diventavano immuni nei confronti del small-pox. Era stato anche colpito dal fatto che due sue contadine, Ann Notley e Mary Reade, addette tra l’altro alla mungitura, avessero contratto il cow-pox ed in seguito non si fossero ammalate durante un’epidemia di vaiolo pur accudendo alcuni parenti stretti affetti dalla malattia. Il Jesty decise di mettere a frutto questa conoscenza in occasione dell’epidemia di vaiolo del 1774, oltre vent’anni prima di Jenner. Anziché attuare la variolizzazione, come allora in uso, inoculò alla moglie Elizabeth ed ai figli, Robert e Benjamin jr., materiale raccolto da vesciche di mucche malate di cow-pox. Ma, mentre i figli ebbero decorso post-vaccinale tutto sommato normale, la moglie andò incontro ad una grave infezione al braccio, per cui il Jesty venne perseguito e dovette allontanarsi con la famiglia, trasferendosi a Worth Matravers, un altro villaggio del Dorset. C’è da dire che la moglie morì comunque otto anni dopo il marito e cinquant’anni dopo la “vaccinazione “, ad 84 anni, un’età certamente più che rispettabile per l’epoca! Cinque anni dopo l’uscita della fondamentale pubblicazione di Jenner sulla vaccinazione (An Inquiry Into Causes and Effects of the Variolae Vaccinae, London 1798), il vicario dell’Isola di Purbeck, Andrew Bell, nel 1803 scrisse una lettera alla neo-costituita Royal Jennerian Society di Londra per illustrare gli esperimenti già portati avanti dal Jesty. Bell creò senza volerlo una lunga diatriba sulla primogenitura della vaccinazione, in cui intervenne George Pearson, rivale di Jenner, invitando Jesty con tutti gli onori nel suo “Original Vaccine Pock Institute”. Tra i precursori della vaccinazione va poi ricordato il maestro di scuola Peter Plett, nato nel dicembre 1766 a Klein Rheide nell’Holstein, regione del nord della Germania famosa proprio per una pregiata razza di bovini. Questi lavorava come precettore presso famiglie facoltose della provincia agricola di Probstei. Il Plett aveva avuto modo di osservare che alcune mungitrici ed alcuni mungitori, che avevano contratto l’infezione del vaiolo vaccino, avevano presentato una sintomatologia modesta per due settimane, ma erano poi rimasti immuni nelle successive epidemie di vaiolo umano. A seguito di questa osservazione nel 1791 Plett vaccinò con esito positivo i tre figli del suo datore di lavoro di nome Martini, ad Hasselburg. Il Plett tentò di riferire le sue osservazioni all’Università di Kiel, ma venne sottovalutato e le sue relazioni “oscurate”. Pare che successivamente, coadiuvato da un certo dottor Heinze anch’egli di Probstei, abbia vaccinato oltre 1000 persone (tra bambini e adulti ), ma fu poi costretto a sospendere le vaccinazioni in seguito all’insorgenza di reazioni gravi in alcuni bambini. Solo nel 1802, dopo i successi di Jenner, le relazioni sulla attività di ‘vaccinatore’ del Plett vennero rese note e pubblicate dall’Istituto di Cultura Germanica di Copenaghen. Ricorderemo ancora Jacques-Antoine Rabaut detto Pommier (1744 – 1820) (Fig. 4), pastore protestante che aveva studiato a Losanna e che ebbe un ruolo politico importante durante la rivoluzione francese.
Fig.4 - Jacques Antoine Rabaut detto Pommier
Il Pommier esercitò dapprima il suo ministero nella provincia di Montpellier , dove, intorno al 1780, ipotizzò che il vaiolo umano, quello ovino e quello vaccino fossero verosimilmente dovuti ad un agente simile. Osservò anche che la malattia era meno grave nei bovini e che i mungitori che venivano infettati dal cow-pox sembravano contrarre una sorta di immunità nei confronti dello small-pox o vaiolo umano. Concluse pertanto che una procedura analoga alla già nota inoculazione, eseguita con materiale ricavato da mucche affette da cow-pox anziché con materiale proveniente dalle vesciche del vaiolo umano, fosse meno pericolosa ed ugualmente protettiva nei confronti dell’infezione naturale. Attraverso un amico comune, un mercante di Bristol di nome James Ireland, ebbe un colloquio con Richard Pew, al quale comunicò le sue osservazioni. Pew, che esercitava la professione medica nel Dorset, promise che ne avrebbe parlato con l’amico Edward Jenner, che si stava interessando allo stesso problema. Quando nel 1798 uscì la comunicazione di Jenner sulla vaccinazione, il Pommier fu molto sorpreso ed irritato per la mancata citazione delle sue precedenti osservazioni, ma solo nel 1810 decise di scrivere al Comitè Centrale de Vaccine per rivendicare la paternità delle prime ipotesi sulla “vaccinazione” con cow-pox. Non ottenne alcuna soddisfazione. James Ireland, chiamato in causa dal Pommier nel 1811, confermò la conversazione tra il Pommier e il dottor Pew, aggiungendo però che in Inghilterra erano comunque già state fatte osservazioni analoghe precedentemente (riferendosi probabilmente al Jesty). Rimangono da citare altri precursori delle vaccinazioni, dei quali purtroppo non abbiamo notizie biografiche: Jobst Böse, che avrebbe effettuato una sperimentazione nel 1769 a Göttingen; una Mrs. Sevel nel 1772; una Mrs. Rendell nel 1782 ed un certo Jensen, “farmer of Holstein”, che pure avrebbe eseguito alcune vaccinazioni nel 1791 (Crookshank 1889, Dixon 1962, Decker, 2011). Ma in medicina, come nelle altre scienze, la scoperta scientifica è tale solo se vengono rispettati i “passi del cimento”: Osservazione, deduzione, ipotesi, sperimentazione, verifica, comunicazione al mondo scientifico e modifica della pratica medica corrente. La semplice osservazione non è funzionale al progresso della materia. A questo proposito Luigi Sacco (Fig. 5), lo ‘Jenner italiano’, nel suo “Trattato sulla vaccinazione …” pubblicato nel 1809, scrisse:” “… il merito non consiste nel veder un fenomeno, ma nel cavarne costrutto, scoprendone le relazioni … cadevano i gravi abbandonati a sé anche prima del secolo di Galileo, ma Galileo solo scoprì le leggi della loro caduta, per cui ne derivò tanto vantaggio alla fisica …”. “Ci vollero, perciò, l’impegno, la curiosità e la perspicacia di Edoardo Jenner perché questa realtà venisse a galla e da essa potesse nascere la prima grande rivoluzione della storia in fatto di profilassi immunitaria contro una malattia infettiva”.
Fig. 5 - Luigi Sacco
I precursori della vaccinazione non portarono a termine il percorso della sperimentazione scientifica. E dunque, pur rendendo merito alle intuizioni di Fewster, di Jesty, di Plett , del Pommier e di altri ancora, forse anche in Lombardia ( Moore 1815), che avevano aperto la strada ad una nuova tecnica di prevenzione del vaiolo, è con la pubblicazione dello Jenner che nasce la storia della moderna vaccinazione e ricordiamo che proprio a Jenner (Fig. 6) dobbiamo il termine “vaccination”, mutuato dal latino vacca, la portatrice del cow-pox.
Fig. 6 - Jenner e Sarah Nelmes (incis. XIX sec.)
Bibliografia
1) Bailey W., History of vaccination, in “Public Health Pap. Rep.”, 1899, 25: 219-22
2) Creighton C., Jenner and vaccination, London 1889
3) Crookshank E. M., History and pathology of vaccination, London 1889
4) Moore J., The history of small-pox, London 1815