Parlando degli asili avevamo già avuto modo di accennare a Laurent Alexis Philibert Cerise (Fig. 1). Questi era nato ad Aosta nel 1807 dal notaio Antoine Sulpice e da Philiberte Martinet. Fece i suoi primi studi umanistici nel Collegio Saint-Benin nella città natale e frequentò poi l’Università a Torino dove si laureò in medicina a 21 anni, il 5 febbraio 1828.
Nel 1831 si trasferì in Francia presso la nobildonna Guglielmina Senff de Pilsach, vedova dello zio Guglielmo Michele Cerise, generale e barone dell’Impero francese. Dopo tre anni di frequenza alla Scuola di Medicina di Parigi, nel 1834, ottenne l’autorizzazione ad esercitare la professione di medico. Insieme al collega Forguet fondò il Collegio dei Medici con un Consiglio di Disciplina, analogo all’odierno Ordine professionale, che aveva la funzione “d’intermediaire entre le corps medical et la societé” e che doveva farsi carico di mantenere la moralità e la dignità professionale. La fama maggiore la raggiunse nell’epoca della maturità professionale attraverso gli studi di neuro-psicologia, che culminarono con la fondazione della Società Medico-Psicologica francese, nel 1838, e l’avvio della pubblicazione periodica Annales Medico-Psicologiques, nel 1843. Pur dedicandosi con passione all’attività di medico psicologo, non tralasciò mai gli studi umanistici cercando di conciliare i suoi interessi per la medicina con quelli per la filosofia e la morale cristiana, esponendo le sue idee politico-filosofiche sul giornale da lui fondato L’europeen. Obiettivo del medico valdostano era quello dimostrare l’assenza di contrasto e la possibile convivenza tra religione e ragione, promuovendo posizioni cattolico-liberali analoghe a quelle dell’Aporti, così diffuse durante il Risorgimento italiano (Irsonti). L’attenzione del Cerise ai problemi dell’umanità sofferente emergeva già nei suoi primi articoli a contenuto filosofico e sociale ed in partciolare nella sua prima monografia, l’organico manuale dal titolo “La medicin des salles d’asile, ou manuel d’hygiene et d’education physique de l’enfance”, edito da Hachette a Parigi nel 1836, che può essere considerato a buon diritto il primo testo di Medicina Scolastica (figg. 2 – 3 ).
Nella prime pagine del suo manuale il medico valdostano, sottolineando che la funzione prevalente dell’asilo doveva essere rivolta all’educazione morale e all’educazione fisica dei fanciulli, elencava tra gli obiettivi principali anche quello di “..richiamare l’attenzione dei medici su tutte le cause che possono agire sulla salute e sullo sviluppo dei fanciulli in generale, … senza dimenticare le cure che esige ciascun fanciullo in particolare”. Esortava tutti i medici che si dedicavano alla cura e alla tutela dell’infanzia, ed in modo particolare quelli impiegati negli asili, affinché si sforzassero di “conoscere tutto ciò che possono fare, onde facciano tutto ciò che possono”. L’attività del medico per gli asili, secondo il Cerise, era duplice e “…non consisteva solamente nell’allontanare dall’umano organismo tutte le cause che tendono a nuocergli, a farlo soffrire, e che lo mettono in pericolo, ma ancora….. a conoscere e ad allontanare tutti gli ostacoli che possono incatenare la libertà umana….”: ciò significava che il medico dell’asilo non poteva limitarsi alla cura delle malattie, ma aveva il dovere di dedicarsi alla prevenzione delle stesse e all’insegnamento dei corretti stili di vita. Il medico valdostano si spinse a parlare di “igiene cristiana” come nuova scienza per una completa assistenza al bambino inserito negli asili, dove i medici “… oltre i soccorsi della loro arte per l’organismo che soffre, hanno l’obbligo di mettere la loro scienza al servigio della morale”. La vigilanza del medico diventava dunque fondamentale poiché doveva “… estendersi non solamente sulle cause che possono nuocere alla salute dei fanciulli, ma ancora su tutte le circostanze che agiscono direttamente sul loro sistema nervoso o sul loro sistema muscolare e che possono impressionare la loro sensibilità…”. Per fare ciò era necessario che egli conoscesse anche in modo approfondito le disposizioni e le regole vigenti nelle sale d’asilo, nonché la distribuzione delle attività giornaliere al fine di valutarne la correttezza nell’interesse della salute e dello sviluppo dei bambini. Il medico d’Asilo doveva esaminare: “1° le vesti e la proprietà dei fanciulli; 2° il loro nutrimento (ricordiamo che questo era spesso portato da casa); 3° i temperamenti e la costituzione di ciascuno di essi; 4° le loro malattie abituali e quelle dei genitori; 5° le malattie che possono colpirli nell’Asilo; 6° le attitudini affettive e intellettuali di ciascuno di essi; ecc….”. Il risultato delle visite e delle osservazioni doveva poi essere trascritto su apposito registro insieme con “..le modificazioni che sarebbe stato utile apportare nel regime alimentare, nelle abitudini, negli esercizi,ecc….”. La visite mediche dovevano essere effettuate esaminando singolarmente ciascun bambino, preferibilmente dopo la refezione per non interferire con i normali programmi della scuola. Né d’altro canto potevano interessarsi della salute dei bambini i Direttori degli Asili, che anzi dovevano farsi carico di chiedere all’Amministrazione Provinciale che “…un medico fosse loro destinato per visitare lo stabilimento…” quotidianamente. Il medico valdostano, per sua stessa ammissione, aveva preso spunti dal Manuale per i fondatori e per gli istitutori delle Sale d’Asilo, edito a Parigi nel 1833 da Jean Marie Denys Cochin (1789 – 1841) (fig. 4), e dal Manuale di educazione ed ammaestramento delle scuole infantili dell’Aporti (fig. 5), auspicava anzi che quest’ultimo testo potesse essere presto tradotto e portato a conoscenza di tutti coloro che in Francia si interessavano di Asili Infantili per i “..consigli chiari e giudiziosi..” che forniva.
Tra gli obiettivi primari per il Cerise, vi era quello di prestare particolare attenzione alle norme igieniche, ritenute essenziali per la salute del bambino, e alla qualità dell’ambiente. Essi ritenevano che i bambini dovessero vivere il più possibile all’aria aperta (fig. 6), con la testa scoperta se il loro stato di salute lo permetteva, o quanto meno che l’aria delle sale d’Asilo dovesse essere frequentemente rinnovata, contro l’opinione comune di mantenere il più possibile le finestre chiuse.Le sale d’Asilo dovevano essere proporzionate al numero dei fanciulli ammessi (16 metri di lunghezza e 10 di larghezza per 200 fanciulli!), misure inferiori non avrebbero permesso “….le evoluzioni necessarie alla loro salute”. Le stesse sale, rotonde o rettangolari, meglio se collocate a piano terreno per evitare incidenti sulle scale, dovevano ricevere aria e luce da almeno due lati. A fianco della sala era auspicabile la presenza di un prato o di un cortile con sabbia e spazi protetti da tettoie o tavolati per riparare i fanciulli in caso di pioggia. Il prato doveva essere fornito di attrezzi per i “giochi ginnici…” e “vicino alla scuola in luogo sano e ventilato andavano collocati dei cessi costruiti in pietra e disposti in modo che i fanciulli non vi posano né sedere, né precipitare…”. IL cerise sottolineava anche la necessità di “recarsi al cesso durante la ricreazione”, in quanto i bambini “..tutti assortiti nel divertimento lo trascurano”, creando i presupposti per patologie “putrefattive” e/o infiammazioni croniche intestinali. La stufa della sala doveva essere protetta da un inferriata o da un cancello alto almeno un metro (evidente l’attenzione alla prevenzione degli incidenti).
Tralasciando la minuziosa descrizione fornita dal medico valdostano su come dovevano essere distribuite e quali dovevano essere le varie attività di insegnamento, di ricreazione e di refezione durante la giornata, osserviamo il grande interesse che egli poneva all’igiene personale. L’asilo doveva essere fornito di “tinozze per lavare qualche volta i fanciulli dalla testa ai piedi.. almeno un bagno al mese” e grandissima cura andava posta alla pulizia della testa, tanto che “..alcuni notevoli capigliature potevano essere risparmiate….. solo a condizione che la testa fosse accuratamente tenuta”. Il bambino con malattie cutanee al cuoio capelluto o con pidocchi, ma anche solo con la testa sudicia andava rifiutato al suo ingresso al mattino. Il naso, la bocca e gli orecchi dovevano pure “…...formare oggetto di un’abituale vigilanza”. Le unghie dovevano essere tagliate e mantenute cortissime. Bambini con vestiti sudici non potevano venire accettati nella scuola e nel caso di estrema povertà bisognava fornire loro gli indumenti puliti. Un accenno particolare poi alle “..abitudini funeste e deplorabili…”, che i fanciulli possono contrarre sin dai loro anni più teneri (“In quanto ai fanciulli di cinque o sei anni, dell’uno e dell’altro sesso, noi ne abbiamo visto, nella nostra pratica particolare, che sono destinati a rimanere vittima di questa irresistibile e fatale inclinazione”!). Spesso ciò accade senza che i fanciulli stessi “..abbiano conoscenza del sesso..” ed e bene che l’approccio a tali abitudini sia molto cauto ed assennato, evitando se possibile di dare eccessivo risalto alla differenza tra i due sessi. Solo in età meno tenera si insegnerà loro “..l’immoralità ed i risultati disastrosi di questa sorta di fatali abitudini”.
I vestiti dovevano essere sobri, le calze di lana o di cotone secondo la stagione, le “..scarpe piuttosto larghe perché i piedi vi si trovino comodi..”. La testa, come detto, doveva essere sempre scoperta all’interno dell’asilo, ma anche negli spazi esterni se il clima non era particolarmente rigido. Per quanto riguarda l’alimentazione era necessario mantenere orari precisi. Gli alimenti dovevano essere ben cotti e ben conservati, meglio se con un po’ di sale “che li rende più digeribili”. “Il pane si è il migliore di tutti gli alimenti” e quello raffermo è meno indigesto di quello fresco. Le qualità più usate erano quelle di frumento, di segale o di mais. Meno accettabile la polenta, dalla parola latina pultus (!) “…quella densa pappa”, usata “…nelle contrade meridionali, che si fa colla farina bollita nell’acqua, di cui il sale e qualche volta il burro formano tutto il condimento.”. Le “pasticcerie” dovevano essere “escluse dai pasti dei fanciulli”. Le zuppe vegetali, invece, avrebbero dovuto rivestire un ruolo determinante nell’alimentazione infantile. Il Cerise auspicava che questa “buona abitudine italiana”, tra l’atro poco costosa, potesse venire presto adottata anche in Francia. “L’alimento vegetale conviene perfettamente ai fanciulli..”, e potrebbe costituire la fonte principale, per non dire esclusiva, di nutrimento dell’infanzia. Il riso e i legumi “.. ci forniscono sostanze alimentari, che convengono meglio di quello che comunemente si crede”. Il medico di Aosta, lasciando trasparire abitudini vegetariane, si spingeva ad affermare che “il latte materno è composto di elementi che si ravvicinano più alla natura vegetabile, che alla natura animale” e che “le malattie infiammatorie ed acute affettano più di sovente i fanciulli che mangiano molta carne; rendendoli pure più irritabili”. Uova e latte venivano ritenuti perfettamente idonei a fornire l’apporto proteico, meno i formaggi fatta eccezione per il “gruera e i formaggi di Olanda, che sono buonissimi”. Per quanto riguardava la frutta “…pera e mela sono in generale sanissime”. Poi una curiosità “fa d’uopo interdire l’uso del cedro, che ha tra gli altri inconvenienti quello di generare i vermi”! Tra le carni si salvavano quelle bianche, in particolare quella di pollo. L’acqua doveva rappresentare la bevanda principale, ma il Cerise non disdegnava di consigliare “… dell’acqua arrossata nei paesi in cui il vino non è caro”!
Il medico valdostano passava poi in rassegna le attività motorie adatte a “..sviluppare il sistema muscolare dei fanciulli delle sale d’asilo.. con esercizi che agiscono sul sistema nervoso e che servono a sviluppare sensibilità e intelligenza”