L'angolo della storia

La corretta alimentazione del bambino, soprattutto nel primo e nel secondo anno di vita, fu uno dei maggiori problemi che afflissero le madri, i medici e le amministrazioni pubbliche nel XIX secolo e nella prima metà del Novecento.
A partire dalla metà dell’Ottocento medici, filantropi e amministratori si dedicarono con assiduità alla promozione di strutture finalizzate all’assistenza delle madri e dei lattante.
L’obiettivo era quello di favorire principalmente l’allattamento materno o di fornire alternative come l’allattamento delle balie mercenarie o quello artificiale (Fig. 1).

 

Fig. 1 - Balia milanese del primo novecento

Fig. 1 - Balia milanese del primo novecento


Dalla metà del XIX secolo in poi si cercò di porre in qualche modo rimedio alla eventuale mancanza di latte materno, o della balia, attraverso la modifica dei latti animali, considerato che i latti di vacca, di capra a di asina, non modificati erano assai squilibrati nell’apporto dei vari componenti (grassi, zuccheri, proteine).
Faceva eccezione forse del latte d’asina che veniva considerato particolarmente adatto al neonato. Klemm, ad esempio, con il sostegno dell’autorevole opinione del direttore dell’ospedale dei bambini di Parigi, in un suo articolo (Sul latte d’asina quale nutrimento pei bambini, in Jahrbuch für Kinderheilkunde und physische Erziehung”, Leipzig, Trubner, 1896, p. 370 ), sosteneva che il latte d’asina era il miglior sostituto del latte materno anche perché l’asino si ammalava di rado e mai di tubercolosi: “Auch der Director des Hospice des Enfants in Paris gab an, dass inner-halb der 12 Jahre des Bestehens der Eselinnenställe im Hospice kein Fall von Tuberculose unter den Eselinnen zur Beobachtung kam”.
Già alla metà dell’Ottocento si ricorreva, però, anche alle prime farine lattee introdotte da chimici e industriali quali: Justus von Liebig (Darmstadt, 12 maggio 1803 – Monaco di Baviera, 18 aprile 1873), Henri Nestlè (Francoforte sul Meno, 10 agosto 1814 – Glion, 7 luglio 1890) e Carl Heinrich Theodor Knorr (Meerdorf, 15 maggio 1800 – Heilbronn, 20 maggio 1875).

I primi due alimenti specifici per lo svezzamento, che fecero la loro comparsa sul mercato a soli due anni di distanza l'uno dall'altro dopo la metà dell'Ottocento, furono proprio la zuppa di malto del chimico tedesco Justus von Liebig nel 1865 e la farina lattea dell'industriale svizzero Henri Nestlé nel 1867 .

Queste due formule ebbero il merito di aprire la strada alla lunga ricerca di alimenti dietetici per l'infanzia, permettendo così una attenzione sempre maggiore per la crescita e la salute dei nostri bambini (Maria Antonietta Filipponio, Lo svezzamento nella storia).
Si trattava di un tipo di alimentazione artificiale ancora ai primordi, molto squilibrata e che causava disturbi gastrointestinali importanti con dissenterie sovente mortali.
Tentativi di modificare direttamente i latti animali per renderli più adeguati all’alimentazione del neonato e del lattante iniziarono verso la metà del secolo ad opera di Cumming (Sull’allattamento naturale e artificiale, in “Annali di chimica applicata alla medicina cioè alla farmacia, alla tossicologia, all’igiene, alla patologia e alla terapeutica”, vol. 45, fasc.1, luglio 1867, pp. 24 – 28), di  Chalvet (Dell’uso del latte vaccino, non raffreddato, né bollito, nell’allattamento artificiale, in “Annali di chimica applicata alla medicina cioè alla farmacia, alla tossicologia, all’igiene, alla patologia e alla terapeutica”, vol. 54, fasc. 3, marzo 1872.,  pp. 155 – 157) e di  Marchand C., Norme per l’allattamento artificiale, in “Annali di chimica applicata alla medicina cioè alla farmacia, alla tossicologia, all’igiene, alla patologia e alla terapeutica”, vol. 59, fasc. 15, novembre 1874, pp. 280 – 281).
Sulla base di questi studi vennero formulati i primi cosiddetti “latti umanizzati”, aggiungendo ulteriori vantaggi a quelli ottenuti col metodo della pastorizzazione introdotta nel 1889 da Franz von Soxhlet (1848 – 1926).
In precedenza troppo spesso la conservazione del latte era priva della necessaria attenzione igienica provocando gastroenteriti gravi.
L’ostetrico cremonese Pericle Sacchi, ad esempio, dopo aver studiato, insieme al sig. Alessandro Baroschi, Capo-chimico dell’Ospedale Maggiore di Cremona, le caratteristiche e la composizione del latte materno e “dell’eccellente latte vaccino, di cui disponiamo a Cremona”, si accinse “a trasformare il latte di vacca in modo da dargli [a suo modo di vedere] i caratteri del latte di donna”, conservando intera la crema, diminuendo a metà la caseina, aggiungendo quanto mancava di lattosio.
I risultati ottenuti furono buoni e contribuirono progressivamente, soprattutto nella prima metà del Novecento, a ridurre la mortalità neonatale.

Il nuovo latte “umanizzato” sortì però un altro effetto importante ovvero quello di contribuire alla riduzione del fenomeno dell’abbandono dei bambini da parte delle madri povere e lavoratrici, impossibilitate ad allattarli e ad accudirli.
Per favorire l’allattamento materno e il baliatico o in alternativa la distribuzione di latte artificiale, nascevano infatti i primi centri di assistenza e di aiuto alle madri e ai neonati.
Obiettivo era quello di fornire se possibile, “nutrici a que’ fanciulli, le cui madri per fisiche indisposizione, o per la conformazione loro non sono atte a nutrire i loro figli, e mancano dei mezzi necessari per procurar loro sostentamento da un’estranea nutrice” (Schizzi F. 1834) o in alternativa, gratuitamente, i “latti umanizzati”.
Erano i primi ‘Istituti lattanti’ o di ‘Aiuto materno’, anche se avevano come funzione prevalente unicamente quella di vicariare l’allattamento materno.
In Lombardia i primi ‘Istituti per lattanti e slattati’ sorsero a Milano nel 1850 grazie all’impegno del pedagogista e filantropo milanese Giuseppe Sacchi (1804 – 1891), seguace ed amico di Ferrante Aporti, già fondatore dei primi asili per l’infanzia a Milano (Fig.2).

Fig. 2 - Cartolina inizi '900 per il ricovero lattanti Miiano

Fig. 2 - Cartolina inizi '900 per il ricovero lattanti Miiano

Il Sacchi aveva preso spunto dalle crêches francesi (Sulla fondazione di speciali ricoveri per bambini lattanti, in “Annali universali di statistica, economia pubblica, geografia, storia, viaggi e commercio”, serie 2, vol. 18, fasc. 53 – 54, dicembre 1848, pp. 123 – 143).
La prima Maison de crêches, o Casa della culla, venne fondata a Parigi nel 1844  ad opera di Jean-Baptiste Firmin  Marbeau (1798 – 1875): si trattava di un ricovero di tre sale a pian terreno con un piccolo cortile.
In una stanza il Marbeau “depose dodici culle donate da dodici benefattrici”, nella seconda uno “scaldatojo per prepararvi i pochi conforti destinati a quei poveri bimbi, e per asciugarvi i pannilini”, la terza stanza per i bambini slattati, che non avevano ancora l’età per essere ammessi agli asili.
Nonostante alcuni detrattori della nuova istituzione, il Sacchi interpellò direttamente madame Villarmè, ispettrice benemerita delle crêches parigine, capitata per caso a Milano.
“Colla scorta dei lumi pratici da questa profferitici e col concorso dei medici…”, fu programmato di istituire ‘Case di Custodia’ per lattanti e slattati, inferiori a due anni e mezzo, figli di madri povere e oneste”, che lavorassero fuori casa.
La necessità di diffondere questi istituti di assistenza, era improrogabile, bastava osservare la differente morbilità e mortalità tra bambini poveri e benestanti.
Lo Zucchi riferiva peraltro (L’istituzione dei ricoveri pei bambini lattanti e slattati, in “Annali universali di medicina”, Vol. CCX, Fasc. 629, novembre 1869, pp. 225 – 293) di alcuni esempi di strutture per lattanti in Italia precedenti ai ‘presepi’ parigini, come ad esempio quello voluto “dal signor Cairati in Lomellina a sussidio delle povere contadine”, quello istituito nel 1840 dal negoziante Michele Bravo nel suo filatoio di seta di Pinerolo per il lattanti delle sue trecento operaie e quello per i figli degli operai delle cartiere Cini a San Marcello in Toscana nel 1842.
In tutta la Lombardia giunse l’eco degli ottimi risultati ottenuti negli istituti per lattanti, o presepi, milanesi che dimostravano una drastica riduzione della morbilità e della mortalità infantile, Furono allora molti a sostenere che questi risultati “…dovevano indurre ad affrettare la costituzione di presepi, al fine di accudire i bambini della madri operaje durante le ore dii lavoro e permettere l’allattamento al seno almeno tre volte nel corso della giornata” (Bissolati S.).
Da notare che la maggior parte delle madri che usufruiva di queste strutture erano filatrici di seta, seguite dalle pettinatrici (!), dalle lavandaie e dalle operaie di altri settori (“Rivista della beneficenza pubblica e degli istituti di previdenza”, vol. 3, fasc. 2, febbraio 1875, p. 182).
La maggior parte dei medici che si interessavano dell’infanzia era convinta, a ragione, che le malattie fossero spesso la diretta conseguenze delle carenze igienico e nutrizionali, oltre all’abitudine invalsa di sottovalutare le condizioni sanitarie del bambino.
La funzione degli asili e dei ricoveri per lattanti e slattati poteva dunque diventare fondamentale per la salute dell’infanzia liberando “… le menti volgari da molti pregjudizi, pei quali sono condotte ad applicare alla cura dei bambini le più strane medicature, o ad abbandonare le malattie di essi fintantoché divengono gravissime e superiori ad ogni risorsa dell’arte medica”.
Lunghe e approfondite analisi a favore degli istituti per lattanti vennero presentate al congresso dell’Associazione Medica Italiana di Firenze del 1866 e nel congresso di Venezia del 1868.
Vennero stilati regolamenti, che prevedevano la presenza del medico ed i suoi compiti (Zucchi C.).
Il medico doveva “visitare giornalmente i neonati e i lattanti per suggerire quei consigli che meglio valgano a tutelare l’igiene generale”: la visita andava fatta ovviamente in presenza della madri per fornire loro consigli igienico – sanitari con particolare riferimento al controllo igienico.
Le migliori condizioni igienico sanitarie degli istituti non furono tuttavia in grado di limitare i danni provocati dalle scadenti situazioni familiari e dai rendiconti sanitari di questi istituti sappiamo che alla fine dell’800 la mortalità era comunque ancora assai elevata.
Da qui nascevano appelli affinché venissero promulgate leggi ”…per la creazione di nuovi istituti, sotto l’egida della Società Nazionale Pro Infantia, (Fig. 3 - 4) nei quali i lattanti venissero accuditi nei tempi  in cui la madre lavorava e dove la madre potesse allattarli ad intervalli”.

Fig. 3 - Cartolina per il XXV anniversario della Istituzione pro infanzia

Fig. 3 - Cartolina per il XXV anniversario della Istituzione pro infanzia

Fig. 4 - Cartolina del 1901 per la societa protezione fanciulli di Milano

Fig. 4 - Cartolina del 1901 per la societa protezione fanciulli di Milano

Nei medesimi si doveva ricavare uno spazio anche per l’allattamento mercenario con nutrici adeguatamente preparate. Da notare che per cercare di assicurare la presenza di nutrici mercenarie in numero adeguato vennero aumentate “convenientemente le mercedi”.

Accanto agli istituti per lattanti e slattati sorsero altre strutture per andare incontro alle madri povere in difficoltà, seguendo l’esempio di analoghe istituzioni estere, in particolare francesi nate tra il 1892 ed il 1894.
In Francia erano nate le cosiddette Gouttes de lait, istituti che avevano prevalentemente la funzione di fornire latte artificiale.
Le Gouttes de lait nascevano anch’esse per contrastare la drammatica mortalità infantile del primo anno di vita dovuta soprattutto alla carenza di latte materno o di balia nei primi mesi di vita, soprattutto nelle classi più povere.
Secondo alcuni la prima Goutte de lait venne fondata per primo da Leon Dufour (1856 – 1928) a Fecamp nel 1894, (Julien P., Pediatrie sociale: le createur de la Goutte de lait e ses biberons, in “Revue d’histoire de la Pharmacie”, Annee 1997, Vo. 85, n. 315, pp. 348 – 350), secondo altri il primo fondatore fu Gaston Variot (1855 – 1930) a Belleville nel 1892.  
“La Goutte de Lait est crèe en 1892 par le Dr. Gaston Variot, chef de service…. a l’hopital des Enfants Assites. Il crèe le premiere dispensaire dans le quartier populaire de Belleville” (Nadin A., Naissance de la puericulture). Erano tuttavia strutture che fornivano aiuto per poche ore alla settimana, una sorta di consultorio nel quale veniva dispensato latte artificiale in caso di necessità e consigli sull’allevamento della prole.
Le strutture in Italia presero il nome di ‘Aiuto materno’. Il primo sorse a Firenze il 23 marzo 1900 ad opera di Ernesto Pestalozza, direttore della Clinica Ostetrica.
Un Aiuto materno per “…l’assistenza ai lattanti poveri legittimi” venne aperto successivamente nel 1907 a Bologna da Gaetano Finizio. L’obiettivo del Finizio era quello di favorire l’allattamento materno o in alternativa di fornire il latte artificiale, evitando se possibile l’allattamento mercenario, che egli riteneva deleterio o comunque l’ultima possibilità (Finizio G., L’istituto aiuto materno e di assistenza ai lattanti a Bologna, in “Bollettino delle Opere Pie e dei comuni”, vo. 27, fasc. 22, novembre 1916, pp. 698 – 702; Allaria G. B., La pediatria in Italia, pp. 836 – 845).
Il Finizio aveva creato un lactarium dove venivano preparati i biberon di latte già pronti da consegnare alle madri. La struttura ebbe caso immediato successo e nel primo anno di vita dell’istituto le richieste di visita e assistenza andarono aumentando in modo esppnenziale, tanto che si auspicava l’immediata apertura di una altri centri analoghi in varie parti della città.
La funzione assistenziale dell’Aiuto materno era diretta a favorire l’allattamento materno, a sorvegliare le madri nell’allevamento igienico del bambino, a dirigere un allattamento misto distribuendo, come si è detto, il latte artificiale nell’intento di prevenire e curare i disturbi della nutrizione e di informare le madri e le famiglie sulle diverse patologia.
Il passo successivo fu in Italia la creazione dell’Onmi e il tentativo di accorpare sotto un unico ente la direzione e/o il controllo di tutti gli istituti del territorio deputati all’assistenza socio – sanitaria dell’infanzia (Fig. 5).

Fig. 5 - Cartolina propagandistica per l'ONMI

Fig. 5 - Cartolina propagandistica per l'ONMI

L’Onmi venne deliberata con decreto ministeriale il 10 dicembre 1925, dopo un’ampia discussione avvenuta il 9 ed il 10 giugno dello stesso anno su testo dell’onorevole Marchiafava.

Alla discussione prese parte attiva anche il medico cremonese Umberto Gabbi (1860 – 1933), deputato e direttore della Clinica Medica dell’Università di Parma.
I pediatri furono comunque coinvolti sin dalle fasi iniziali nell’organizzazione dell’Ente.  Gli obiettivi che l’Onmi si prefiggeva, già descritti nella relazione Marchiafava ed ampliati con un decreto del 1934, erano così enunciati: “1) provvede attraverso le sue Federazioni Provinciali alla protezione delle gestanti e delle madri bisognose, o abbandonate, dei bambini lattanti e divezzi fino al quinto anno appartenenti a famiglie che non possono prestar loro tutte le necessarie cure per un razionale allevamento; 2) favorisce la diffusione delle norme e dei metodi scientifici di igiene prenatale e infantile nelle famiglie, negli istituti, anche mediante l’istituzione di ambulatori per la sorveglianza e la cura delle gestanti, di scuole teorico-pratiche di puericultura e corsi popolari di igiene materno-infantile; 3) organizza i Consorzi antitubercolari in accordo con le Amministrazioni provinciali, con gli ufficiali sanitari dei singoli comuni e con le autorità scolastiche; 4) vigila sull’applicazioni delle disposizioni di legge e dei regolamenti in tema di protezione della maternità e dell’infanzia”.
Inoltre l’Opera è investita di un potere di vigilanza e di controllo su tutte le istituzioni pubbliche e private per l’assistenza e la protezione della maternità e dell’infanzia (anche ospedali!) con potere di chiederne la chiusura in caso di inadempienze gravi.
L’opera aveva la facoltà di fondare o promuovere la fondazione di strutture per la salute della madre e del bambino, di fondare o promuovere opere ausiliarie per i brefotrofi per la tutela delle madri bisognoso e/o abbandonate, o altre strutture di supporto alla maternità e all’infanzia dove l’assistenza risultasse deficiente.
Aveva anche facoltà di sovvenzionare nuove iniziative di assistenza per la madre e per il bambino e il compito di coordinamento di tutte le strutture pubbliche e private per l’assistenza alla maternità e all’infanzia.
I tre macro-obiettivi dell’Onmi individuati da Allaria erano: il compito morale per rafforzare al massimo i vincoli familiari, il compito sociale per dare il massimo impulso alla natalità, il compito sanitario per ridurre al minimo la mortalità delle madri e dei bambini (Allaria G. B., Il problema demografico del Regno osservato da un pediatra, Tip. Bona, Torino 1929).
Il responsabile scientifico dell’attività pediatrica dell’ONMI tra il 1925 ed il 1943 fu il Prof. Francesco Valagussa (1862 – 1950), docente universitario e primario dell’ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma, socio fondatore della Società Italiana di Pediatria (ricordo che tra i fondatori figurava anche Felice Celli).
Sottolinea Paolo Deotto che tra gli obiettivi dell’Onmi andavano annoverati quelli di “favorire la diffusione delle norme e dei metodi scientifici di igiene prenatale e infantile nelle famiglie …, di organizzare l’opera di profilassi antitubercolare nell’infanzia e la lotta contro le altre malattie infettive,… di vigilanza e controllo su tutte le istituzioni pubbliche e private di assistenza alle madri e ai fanciulli, provvedendo anche, ove necessario, a sovvenzionare istituzioni private meritevoli”.
Sottolineava lo stesso Deotto: “E’ difficile fare gli storici restando sempre dei puri cronisti. Ma è anche disonesto fare gli storici senza guardare, comunque, ai dati di fatto.
E se è vero che il fascismo portò l’Italia alla rovina…. è altrettanto vero  che negli anni del suo consolidamento e del crescente consenso popolare il regime fascista diede all’Italia una legislazione ampia e articolata in materia di previdenza, assistenza e tutela del cittadino”
L’Onmi si impegnò nella fondazione delle cosiddette ‘Case della madre e del bambino’ dove erano in funzione un consultorio ostetrico, un consultorio pediatrico, un asilo – nido per bambini fino ai tre anni e un refettorio materno per gestanti a partire dal sesto mese di gravidanza e nutrici fino al settimo mese di allattamento per fornire loro un apporto nutrizionale adeguato.
Tra le altre istituzioni dell’Onmi va ricordata infine quella della ‘Cattedre ambulanti’, attive per lo più nell’agro romano, costituite da equipe di medici, ostetriche assistenti sanitarie, con il compito fornire gli elementi essenziali di puericultura alle madri di campagna.
L’ONMI pubblicava una rivista propria, “Maternità e Infanzia” e materiale divulgativo. A Cremona patrocinò, alla sua uscita, la rivista “Mamma e bimbi” (Fig. 12), supplemento al “Regime fascista”, edita dal 1938 al 1943.

Fig. 6 - Numero della rivista Mamme e Bimbi

Fig. 6 - Numero della rivista "Mamme e Bimbi"

A “Mamma e bimbi” collaborarono per la parte scientifica pediatri famosi come il professor Girolamo Taccone, direttore dell’Ospedale dei bambini di Milano e il professor Nicola Latronico, primario pediatra dell’Ospedale di Lecco, famoso storico della pediatria.