L'angolo della storia

In settembre sono tornato all’asilo. Quest’anno, tra i mezzani, speravo che andasse meglio, ma come lo scorso anno ho quasi sempre la tosse e il catarro. In tre mesi la mamma mi ha già portato  quattro volte dal pediatra: ‘Dottore, questa volta la tosse è davvero bruttissima. Non ho mai sentito una tosse così’! Sarà, ma a me sembra sempre uguale. Qualche volta mi è venuta anche la febbre e la settimana scorsa me la sono pure fatta addosso. La mamma aveva sentenziato che la colpa era del cioccolato e delle caramelle, ma secondo me la colpa era stata di Samantha Allegri, che alla mattina a scuola aveva dovuto andare in bagno cinque volte. La mamma non è contenta, la nonna sbuffa di continuo e chiede al pediatra come sia possibile che un bambino si ammali così spesso ‘nonostante i quindici giorni di mare e la medicina per aumentare le difese consigliata dal farmacista’.  Il pediatra mi sembra sconsolato, quasi depresso, ripete sempre le stesse cose. Ormai le conosco a memoria: dal malefico aerosol, alle fastidiosissime supposte, a quell’imbevibile miscuglio che lui chiama soluzione reidratante. Ma chi sarà stato che ha inventato gli asili e perché lo ha fatto?............”

 

Fig. 1 – San Girolamo Miani  (Wenzel, 1840)

Fig. 2 – San Giuseppe Calasanzio (Wenzel, 1840)

 


Nonostante la storia ricordi l’ammirevole impegno di alcuni religiosi come Giovanni Battista de La Salle, Girolamo Miani (o Emiliani) e Giuseppe Calasanzio, che tra il XVI e XVIII secolo si prodigarono per fornire protezione ed educazione all'infanzia abbandonata, alla fine del Settecento e nei primi anni dell’Ottocento le condizioni socio – sanitarie della quasi totalità dei bambini delle classi meno abbienti erano ancora estremamente scadenti. I genitori dei ceti più bassi infatti, afflitti dalla povertà e dall’indigenza, costretti a lavorare entrambi dall’alba al tramonto per offrire un minimo di sostentamento alla famiglia, non potevano far altro che abbandonare i piccoli nelle strade o, nella migliore delle ipotesi, affidarli alle cosiddette “Sale di custodia”. Si trattava di istituzioni del tutto inadeguate, inadatte a fornire una sufficiente assistenza ed un minimo di istruzione, troppo spesso gestite da donne di basso rango, che per pochi soldi accettavano di accudire i bambini  tenendoli ammassati in ambienti malsani, sporchi e scarsamente aerati. Al compimento del settimo anno di età la situazione dei bambini della classi più povere peggiorava ulteriormente poiché, invece di frequentare la scuola, venivano precocemente avviati al mondo del lavoro: i più fortunati venivano impiegati come garzoni nelle botteghe di artigiani, altri nel lavoro agricolo, altri ancora nelle filande e nelle prime fabbriche. Proprio negli ultimi anni del Settecento, tuttavia,  grazie a sporadiche iniziative di educatori, medici e filantropi, videro la luce  alcune istituzioni che si ponevano l’obiettivo  di rimediare almeno in parte alle carenze socio – assistenziali della prima infanzia. I primi esperimenti di “asilo” vennero avviati in Inghilterra ad opera di Joseph Lancaster e del pastore anglicano Andrew Bell, che aveva preconizzato il metodo del mutuo insegnamento ovvero la teoria secondo la quale nella scuola i bambini  più bravi dovevano insegnare ai  meno bravi. In quegli anni  il filosofo Adam Smith sottolineava il diretto rapporto tra progresso ed istruzione di una società. Egli riteneva che i privilegi delle classi agiate andassero rispettati, ma che anche i poveri dovessero uscire dall'analfabetismo.  Le scuole per l’infanzia si diffusero successivamente in Francia  per opera di Jeanne Louise Henriette Campan (1752 – 1822), di Jean Frederic Oberlin (1740 - 1826) e di  Madame Pastoret (1765 - 1843. In Germania alcune esperienze di  Spielschűlen erano state attivate nel 1792, ma solo nel 1817 Friedrich Wilhelm August Fröbel (1782 – 1852), allievo del grande pedagogista svizzero Johann Heinrich Pestalozzi (1746 – 1827), aprirà il suo primo Kindergarten a Keilhau. Si ritiene comunque che le prime vere Infant's Schools, con obiettivi educazionali oltre che assistenziali, siano state quelle aperte in Inghilterra nel 1816 ad opera di Robert Owen (1771 – 1858), imprenditore, sindacalista ed esponente di spicco del socialismo utopistico.  L’idea originale di Owen fu quella di aprire una scuola, annessa alla fabbrica, nella quale venivano accolti i figli degli operai dai due anni in poi: un vero e proprio asilo aziendale dove mediante il canto ed il gioco si insegnavano ai bambini i numeri e le lettere dell'alfabeto, applicando metodi educazionali specifici e idonei all’età dei bambini ammessi. Quasi contemporaneo dell’Owen fu un altro grande pedagogista inglese, Samuel Wilderspin (1792 – 1866), autore della fondamentale opera The Infant System. For Developing the Intellectual and Moral Powers of all Children, from One to Seven years of Age. Le sue teorie si diffusero ben presto al di fuori dei confini della Gran Bretagna influenzando profondamente le scuole pedagogiche europee dell’Ottocento, come ad esempio quella viennese dove, tra il 1816 ed il 1819,  studiava Ferrante Aporti (1791 – 1858). L’Aporti aveva frequentato il seminario di Cremona dove era stato ordinato sacerdote nel 1815. Grazie agli ottimi risultati ottenuti venne scelto per frequentare il Collegio Theresianum di Vienna, prestigiosa scuola di specializzazione per  studi teologici  istituita dal Governo austriaco. A Vienna ebbe come amico di studi il giovane ebreo Joseph Wertheimer (1800 – 1887), futuro grande filantropo e convinto promotore delle scuole per la prima infanzia. Questi nel 1826 tradusse in tedesco e pubblicò la citata opera di Samuel Wilderspin col nuovo titolo tedesco: “Űber frűhe geistige Erziehung und englische Kleinkinderschulen” e ne inviò una copia all’amico Aporti insieme con alcuni  suggerimenti per l’isituzione degli Asili Infantili.

 

Fig. 3 – Ferrante Aporti

Fig. 4 – Frontespizio del manuale

 

In una lettera del 1830 l'Aporti comunicava al Wertheimer  di aver aperto  a Cremona quello che  ancor oggi viene considerato il primo Asilo Infantile  italiano. Si trattava di un asilo per “soli otto bambini agiati” inaugurato nel novembre del 1828, anche se la delibera ufficiale governativa arrivò solo il 24 gennaio 1829. Primo insegnante e coadiutore in questo asilo  fu il sacerdote Alessandro Gallina, con il quale  l’Aporti ebbe successivamente alcuni contrasti. A questa prima esperienza seguiva,  il 18 Febbraio 1831,  l’apertura di un asilo gratuito per 50 bambini indigenti, la cui funzione, come l’Aporti tiene a sottolineare nel suo “Manuale di educazione ed addestramento delle Scuole Infantili”,  era quella: “ 1° . Di procurare un luogo di sicuro ricovero ai figliuoli dei lavoratori poveri per tutto il tempo che essi devono occupare nel travaglio, 2° Di evitare ai medesimi il pericolo dell’ozio o de’ cattivi compagni, o de’ pessimi esempj, 3° Di offrire i vantaggi invece di una buona educazione e della gradata abitudine all'amor dell'ordine e della disciplinatezza, 4° Di sollevare in parte i genitori dal mantenimento de’ propri figliuoli, sicché possono fare maggiori risparmi da riserbarsi ai giorni dell'infortunio, e da impiegarsi per le spese dell'istruzione scolastica negli anni a venire".   L’Aporti nel 1832 si preoccupò anche di istituire una Scuola per Educatrici d'Asilo, dove le future maestre avevano la possibilità di approfondire il metodo aportiano. Una volta uscite dalla Scuola venivano ovviamente richieste anche dagli asili di molte altre città.

Fig. 5 – Le Visitatrici degli Asili

Fig. 6 – Giuseppe Sacchi



A Milano le prime scuole per l’infanzia sorsero nel 1836 per opera di Giuseppe Sacchi (1804 – 1891). Il Sacchi, segretario della Commissione per gli Asili di Carità per l’Infanzia, era rimasto affascinato dall’opera dell’Aporti, tanto da soprannominarlo il “secondo Calasanzio”. La citazione è contenuta nella prefazione della traduzione italiana dell’importante manuale “La medicin des salles d’asile, ou manuel d’hygiene et d’education physique de l’enfance”, pubblicato a Parigi nel 1836  dal medico valdostano Laurent Cerise. Nel  manuale il Cerise, al pari dell’Aporti,  sottolineava che  le funzioni dell’asilo oltre all’educazione morale e all’educazione intellettuale dei fanciulli, dovevano contemplare l’assistenza medica. Il manuale, anche per interessamento del Sacchi, era stato  tradotto in italiano nel 1837 da Andrea Bianchi (1809 – 1841),  medico dell’asilo di Santa Maria Segreta di Milano, una delle prime tre “scuole materne”  meneghine, insieme con quelle di S. Celso e di S. Nazaro. Nella prefazione al manuale il Sacchi rilevava anche  le cattive condizioni di salute nelle quali versavano frequentemente i bambini ammessi agli asili milanesi, tanto che quasi un terzo dei “ricoverati era stato giudicato affetto da infermità rese gravi dalla miseria…….. e dall’incuria nelle quali erano stati lasciati”.

Fig. 7 – Asilo di S. Nazzaro in Milano (1836)



Il problema era maggiormente sentito per i bambini delle classi più povere a causa “degli stenti, del soggiorno in luoghi umidi, del vitto malsano, delle percosse e della trascuratezza della vaccinazione”. Altri asili sorsero a Brescia nel 1836 per opera della Contessa Calini e dell'Avv. Saleri, a Venezia nel 1836 (dove l'Aporti inviò la sua allieva Marietta Bolzani), a Torino nel 1839 per interessamento del Conte Camillo Benso di Cavour e del Conte Carlo Boncompagni di Mombello, a Napoli nel 1845 con finanziamento dal Barone Rotschild ed inaugurato alla presenza dello stesso Aporti. Quest’ultimo asilo ebbe purtroppo vita breve a causa degli aspri contrasti con i Gesuiti e con alcune Congregazioni Religiose. Nello Stato Pontificio gli Asili tardarono a sorgere sino al 1847.  Le teorie aportiane furono aspramente avversate dalla Chiesa, tanto che Papa Gregorio XVI nel 1837 emanò addirittura un editto che vietava l’apertura degli asili nello stato Pontificio, considerandoli pericolosi strumenti di diffusione delle idee socialiste in grado di destabilizzare l'ordine costituito.

Fig. 8 – Sala di Asilo (Da Sacchi Giuseppe, 1837)



Nel 1844 l'’Aporti venne  invitato da Re Carlo Alberto a Torino per tenere alcune lezioni universitarie di didattica e per dirigere la Scuola di Metodo Pedagogico. Si era all'inizio dell'epoca risorgimentale e il sacerdote mantovano non aveva fatto mistero in qualche occasione delle sue idee "italianizzanti", per cui entrò in dissenso con il Governo austriaco e dovette abbandonare Cremona. Nel 1848 su invito del Re si trasferì definitivamente a Torino  come docente  universitario di pedagogia.  Nonostante il parere negativo dell'Arcivescovo,  Re Carlo Alberto lo volle Presidente del Consiglio dell'Università di Torino e successivamente  lo fece anche Senatore. Lo propose anche come Vescovo per la città di Genova, ma il Pontefice e soprattutto i Gesuiti, che non gli perdonavano l'apostolato educativo a favore dell'infanzia povera, ne bocciarono la candidatura. Quando morì a Torino il 29 novembre 1858, fu organizzata una solenne celebrazione delle esequie e venne proclamato il lutto cittadino.  Secondo l’Aporti  l’Asilo non doveva essere un semplice luogo di “parcheggio”  per i figli di madri lavoratrici, ma un vero luogo di insegnamento e di assistenza.  L’educazione doveva essere comprensiva di precetti per un corretto sviluppo intellettuale, morale e fisico della prima infanzia. L'Asilo aportiano assunse via via una struttura sempre più articolata. Vi era un  personale fisso, rappresentato dalle maestre e dalle inservienti, ed un personale non stipendiato "onorario" rappresentato dalle Visitatrici, signore di alto rango sociale deputate alla sorveglianza, dai medici e dai componenti del Consiglio d'Amministrazione (benefattori, filantropi, religiosi).

 

Fig. 9 – Giardino d’infanzia di Piadena (CR) – 1930


L’educazione intellettuale prevedeva l’insegnamento della lettura, della scrittura e del “far di conto”, ma anche la presa di coscienza del proprio corpo e dell’universo che ci circonda : animale, vegetale e  minerale. Nell’educazione morale venivano compresi l’insegnamento della dottrina cattolica e della storia sacra. L’educazione fisica era mirata al corretto ed armonico sviluppo dell’organismo non disgiunto da una corretta alimentazione. L'Asilo doveva avere una cucina per fornire un'alimentazione semplice e genuina. Ci preme sottolineare quanto l’Aporti fosse attento alla educazione fisica,  igienica e sanitaria, tanto da ipotizzare già allora una sorta di “medicina scolastica” poichè troppi erano gli errori che all’epoca venivano commessi nell’assistenza ai bambini:
1) la cattiva alimentazione con l'eccesso di cibi "carnosi" e "zuccherosi", o di cibi "acidi" che predispongono ai "moti convulsivi",  l'uso improprio del vino che "….non dovrebbe usarsi che come rimedio…" o peggio l'uso dei liquori,
2) la mancata somministrazione di "acqua fresca,…..sommo rimedio, poiché essa polisce lo stomaco, facilita la digestione, promuove le evacuazioni…..e rende il sonno più tranquillo" ("parchi nell'uso dei cibi e sobri nell'uso delle bevande");
3) il modo di vestire con abiti troppo stretti che impediscono una corretta respirazione e ritardano i movimenti tanto da far nascere "…..gli imbarazzi alle viscere, le ostruzioni alle glandule e  gli ingorghi dei vasi…";
4) l'eccessivo uso del copricapo "…..e ciò al di fuori dell'essere esposti al gran sole o alla pioggia, è male. Gli indumenti alla testa riscaldano e quindi ne derivano i dolori del capo, gli infreddamenti, i catarri, le tossi…..";
5) il poco esercizio fisico all’aria aperta ed  i pericoli degli ambienti corrotti da fumi e miasmi "..Se l'aria è caricata di sostanze insalubri, esercita un'impressione malefica su tutto l'organismo…";
6) l’eccessivo uso di medicinali  "…….coll'uso dei quali s'indebolisce….il temperamento dei bambini…., e si rendono infermicci"(!);
7) "… l'assuefazione alle troppe mollezze…", il letto deve essere "…duro, non pesante nelle coltri, non riscaldato d'inverno, ma soltanto asciutto";
8) l’eccessivo rigore nelle punizioni;
9) la frequentazione con "balbuzienti, storpi o gobbi.." che predispongono all'imitazione e fanno contrarre i medesimi "vizi"(!).

 

Fig. 10 – Sala d’Asilo (Cosmorama pittorico, 1836)


L’Aporti, nel suo manuale del 1833, dettava alcune norme di educazione fisica e igienico – sanitaria,:
1)“Conviene eccitare i fanciulli a recarsi al cesso……in quanto è nocevole il resistere a questo bisogno imperocchè comprimendo con il loro volume le parti vicine, irritano gl’intestini….  e le loro parti putride infettano tutta la massa degli umori, donde derivano le malattie”;
2) “Conviene altresì tenerli lontano dal fuoco: l’usarlo troppo intenso induce una pericolosa inazione, rilassa le fibre, diminuisce le forze…il freddo poi fa meno impressione su coloro che furono accostumati a sostenerlo”;
3) “Si guardino gli istruttori o i genitori dallo sgridare o trattar bruscamente i fanciulli quando abbiano contratto qualche lesione giuocando : un’altra volta essi nasconderanno il loro male, e ne risulteranno danni reali, se il male sia considerevole”;
4) “Sarà utilissimo l’abituare i fanciulli a servirsi delle d’ambe le mani……per poter utilizzare vantaggiosamente anche la sinistra”;
5) “Per fortificare tutto il corpo de’ fanciulli sono utilissimi i bagni freddi………….danno forza a stomaco, muscoli e nervi….” secondo gli insegnamenti del Tissot;
6) “Si avverta in genere alla poca pulizia, in cui sono tenuti i fanciulli della plebe, dal quale mancamento derivano in gran parte le malattie cutanee”;
7) “I fanciulli hanno assai bisogno di sonno  e di riposo nei primi anni della loro vita” , almeno dodici ore sino ai sette – otto anni;
8) “Finalmente a conservazione dell’udito si ripuliranno ai fanciulli di tratto in tratto le orecchie……cautamente con un istrumento ottuso d'oro, d'argento o avorio, non mai di ferro o di ottone.”.  
L'attenzione dell'Aporti ai problemi igienico - sanitari, quantunque risulti ai nostri occhi certamente marginale, spesso erronea e superficiale, rende merito tuttavia al grande pedagogista di non aver trascurato  le condizioni di salute del bambino e di aver anzi ricercato una cura per quanto  possibile onnicomprensiva dei fanciulli a lui affidati in un'epoca nella quale l'assistenza sanitaria all'infanzia era estremamente carente.