Editoriali

Teresa Cazzato

di Teresa Cazzato

Il lavoro del Pediatra di Famiglia nei confronti di ogni singolo paziente è racchiuso in un arco di tempo che va dal momento della presa in carico fino al compimento del quattordicesimo anno o nel caso di un bambino con particolari problemi di malattia cronica o disabilità può arrivare fino al sedicesimo anno di vita. Questo stesso lavoro si è arricchito, dalla sua istituzione ad oggi, di varie componenti che potremmo definire allegoricamente come “medaglie sul campo”;

in altre parole, chi non si è adeguato alle esigenze ed alla circostanza in cui si è potuto trovare soprattutto di fronte a pazienti disabili? D’altronde i testi, la clinica, il percorso universitario o di specializzazione non ci hanno messo davanti a molte realtà sanitarie!  Molto spesso in tutte (o quasi) quelle  situazioni croniche o di disabilità,  non si hanno risposte codificate ai bisogni di ogni singolo paziente perché ogni situazione può essere a sé stante in quanto diverso l’individuo, diversa la patologia, diverso il contesto familiare, diverso il bisogno; per cui si può necessariamente dire che la terapia può essere una risposta al bisogno secondo il sentire, e non solo secondo la preparazione ed il proprio sapere, sapere essere e saper fare. Leggendo il Manifesto della Pediatria della Disabilità, la mente rimanda al lavoro sartoriale che viene adattato su misura a seconda della taglia, della scelta del tipo di abito, del colore, del tipo di stoffa, ecc. L’area della disabilità è in effetti una palestra in cui il pediatra mette in gioco preparazione, sapere, acquisizioni, sfide, ma il tutto seguendo anche emozioni, relazioni, contatti, esperienze, che man mano devono essere calibrate e adattate a quel particolare bisogno assistenziale, a quella famiglia ed in quel contesto sociale. Ancora, leggere nel Manifesto: “pediatria della vicinanza”, “pediatria dell’ascolto e della condivisione”, “pediatria della presenza responsabile”, pediatria della trincea della pazienza”, “pediatria della speranza”, “pediatria della tutela e della indignazione”, “pediatria dell’insegnamento” è come ricostruire un puzzle delle varie attività o componenti che ogni pediatra mette in pratica senza avere a priori la strutturazione dell’esito. Con quest’affermazione non si vuol dire che c’è irresponsabilità e incompetenza anzi tutt’altro, ci si mette in gioco paziente per paziente, cercando di impegnarsi e confrontarsi con esperienze di altri che si possono differenziare per alcuni aspetti compreso il contesto sociale in cui si vive. Ancora, il Manifesto della pediatria della disabilità ha toccato tutti i punti tangibili e non, quantitativamente diversificati a seconda della capacità, sensibilità, competenza di ognuno di noi pediatri. Ancora, leggendo tra le righe del Manifesto ognuno di noi pediatri si può ritrovare rivedendosi nell’esperienza di un caso vissuto o in divenire e può riconoscersi, ma ancora di più trova un sostegno e incoraggiamento al proprio operato; conferma ad esempio che l’ascolto fa parte integrante del nostro essere medico e del nostro essere pediatri così come la speranza è elemento di accompagnamento ma soprattutto di espressione di quel giuramento di Ippocrate che per ognuno di noi è,  e dovrebbe essere, un impegno di vita.
Si potrebbe concludere pensando che il nostro lavoro come formichine laboriose cerca di sistematizzare consapevolmente questa fetta di attività e di impegno che purtroppo spesso ha scarsa o parziale attenzione da parte di tutto il contesto sanitario. Forse dovrebbe essere anche nostro compito istituire percorsi formativi sul campo?
Leggi il manifesto.....