L'angolo della storia

A cura di Giovanni Fasani

Tutte i trattati e i manuali terapeutici dall’antichità (ad es. i “secreti medicinali” e le “articelle”) sino ai testi dei giorni nostri hanno riservato ampio spazio alle preparazioni a base di vino, alle quali veniva e viene attribuita un’azione terapeutica o almeno ritenuta tale. Concentreremo il nostro interesse solo su alcune indicazioni prese dalle pubblicazioni sopraccennate per arrivare ad osservare quanto ampio fosse l’utilizzo del vino nei trattati pediatrici più famosi, come ad esempio quello che viene considerato il primo vero testo di pediatria: Underattelser on bornasjukdomar och deras botemedel, di Rosen von Rosenstein (fig. 1) stampato a Stoccolma nel 1765. Prima di arrivare al Rosenstein, dunque, tra le centinaia di pubblicazioni che riportano riferimenti al vino come rimedio sanitario, vogliamo ricordare uno tra i trattati di farmacopea e di materia medica più noti ovvero I Discorsi… di M.° Pietro Andrea  Matthioli, stampati per la prima volta a Venezia da Valgrisi nel 1554. Il Matthioli aveva  ripreso il testo dei sei libri di Pedacio Dioscoride Anazarbeo  (medico, botanico e farmacista greco vissuto nel primo secolo dopo Cristo, che esercitò a Roma ai tempi dell'imperatore Nerone) commentandolo e arricchendolo di centinaia di xilografie, creando forse il più famoso testo / atlante di fitoterapia con numerosissimi riferimenti al  vino ed ai suoi preparati: così troviamo il capitolo sul vino in generale (pp. 819.32 e 820.62), i capitoli “vino quanto giovi moderatamente bevuto” (p. 821.3) e  “vino a chi si convenga & a chi no” (p. 821.7) o ancora un’analisi dei singoli tipi di vino come il “vino di lambrusca” (p. 823.5), il “vino melato” (p. 823.55), il “vino resinato” (p. 830.43), il “vino rosado” (p. 829.48) e molti altri ancora. Tra altre pubblicazioni ci piace anche ricordare i “Secreti” di Padre Alessio Piemontese, Girolamo Ruscelli, vissuto tra il 1470 e i primi decenni del XVI secolo,1 nei quali compaiono numerosissimi riferimenti all’attività terapeutica del vino, ad esempio per “chi non tiene il cibo al soverchio vomito & alla debilità grande dello stomaco” (p. 33)  o come “rimedio perfettissimo a chi fosse sordo” (p. 27) o ancora  “a far venire & multiplicare il latte alle donne” (p. 29). Nella trascrizione del trattato di Paolo Aegineta (fig. 2), Libri septem edita a  Basilea nel 1538, nel capitolo XCV, De virtutibus vini, sottolineiamo l’affermazione: “Valetudinis secundae studiosum vini potestas fugere non debet”, non deve sfuggire allo studioso la capacità del vino di assecondare la buona salute (p. 17).  Anche Giacomo Primerose, considerato il primo pediatra inglese con il suo De morbis puerorum, stampato da Leers ad Amsterdam nel 1559, consigliava di utilizzare il vino nelle parassitosi, “potu sit vinum tenue, decocto cornu cervi…” (p. 92); nelle calcolosi “Pulvis baccarum hederae cum vino albo detur” (p. 91); nell’incontinenza urinaria, dove tra i numerosissimi rimedi compariva il “Cerebrum Leporis ex vino albo potum, fæpius expertum ait Paraeus” insieme ad una curiosa terapia astringente: “Sic prodesse possunt calamintha, castroreum, myrrah, ruta,glandes tosti cum aqua plantagionis, vino albo, sic decoctum myrtillorum, nucum cupressi, rosarum rubrarum balaustiarum (melograni) & alia essicantia calescentia & adstringentia, fotus & balnea ex thermis

Fig. 1 – Pietro Andrea Matthioli, incisione XVI secolo

Fig. 2 - Rosen von Rosenstein, litografia XIX secolo

sulfureis, vel ex sulfure, nitro, & adstringentibus”(pp. 96-97).  Un’altra famosa farmacopea, quella di Giuseppe Quercetano, Pharmacopea dogmaticorum restituta, stampata da  Bringer a Fancoforte nel 1614, dedicava un intero capitolo, il IX, ai vini dividendoli in “simplicia & composita”, tra i primi figuravano ad esempio i vini: Angelica, Salviatum, Foeniculatum, Anisi, Centaurii minoris, Alkekengi, Scylliticum, tra i secondi i vini: Helleboratum, Hippocraticum, Antiepilepticum, Anapoplecticum, Ophtalmicum. Sebastiano Austrio, come si rileva nella trascrizione di Nicolò Fontana (In Sebastianum Austrium medicum caesareum. De Puerorum Morbis, apud Ioannem Jannssonium, 1642) consigliava l’utilizzo del “vinum Rhenanum album” nell’idrocefalo (p. 49), mentre riteneva che il vino andasse assolutamente evitato nelle altre affezioni del sistema nervoso “… vinum, & praesertim syncerum, & aqua non dilutum”, anche se secondo Avicenna “vinum antiquum valde confert aegritudinibus nervorum omnibus” (pp. 153-154). In alcune affezioni gastriche (p. 390) poteva tornare utile “balsami guttulas vino malvatico propinare hujus mali antidoto, cuius usu praesertim Absinthini gloriatur Galenus”. Il vino poteva fungere anche da alimento: “Vinus potus suavissimus, alimentum praestantissimum celerrime nutriens”. Risultava consigliato anche nelle “de ventri inflamtionibus” insieme all’anice, al finocchio, al cinnamomo, all’altea, alla camomilla, alla betonica e a molti altri rimedi fitoterapici (p. 429). Anche nella Farmacopea del Lemery, una tra le più utilizzate del XVIII secolo, venivano citati alcuni vini terapeutici come il Vinum nephreticum Bauderoni, il Vinum martialem, il Vinum magistrale purgans, il Vinum febrifugum, il Vinum emeticum aut stibiatum. Secondo il Campana (A. Campana, Farmacopea ferrarese, Piatti, Firenze 1818, p. 310) tra i vini terapeutici assumevano grande importanza il vino acciaiato e soprattutto i vini composti con china, che peraltro protrarranno la loro fortuna fino ai giorni nostri. Ma come dicevamo, numerosi sono i riferimenti al vino nel trattato del Rosenstein e nelle note stilate dal medico milanese Giovan Battista Palletta in margine alla traduzione italiana del testo originale. I riferimenti sono relativi sia all’utilizzo, che al divieto di consumare vino, divieto come quello indicato per la balia (p. 4), anche se in una nota successiva il Palletta sottolineava che seppure l’uso smodato fosse dannoso per le nutrici, era anche vero che “essendo il vino copioso in Italia e formando la bevanda ordinaria, difficili riesce sostituirvene un’altra.” (p. 60). Così in una nota successiva il Palletta, nel far notare che tra i vari metodi per rianimare o rinvigorire il neonato gli antichi teutoni erano soliti immergerli nell’acqua fredda come “fanno i Selvaggi del Nord”, riteneva che fosse “infallibilmente più ragionevole un bagno d’acqua tiepida, che nei fanciulli deboli si rende più corroborante coll’unirvi una porzione di vino” (p. 15). E sempre il Palletta a proposito del prolasso rettale dei neonati riteneva che dopo averli fatti “sedere a nudo sopra pietre fredde e… dopo la riposizione fatta colle dita”, producessero buon effetto i clisteri di vino stittico” (p. 28). 2

Il Rosenstein poneva il vino tra i vari rimedi per le diarree poiché “se il figlio è già debole si fa coagulare un po’ di latte nel vino e gli si dà il siero da bere” (p. 69). E nella diarrea da cibi poco cotti, che “chiamasi  lienteria”, mentre i figli dei ricchi possono avvalersi di rimedi complessi a base di sostanze costose come Cascarilla, Cinnamomo, etiope marziale di Parigi (ossido di ferro), acqua di Spa del fonte Pohuonne e di una dieta particolarmente ricca, “i figliuoli de’ poveri usino per quanto è possibile… alla sera il vino marziale londinese, al quale, per sminuirne il prezzo, si può sostituire il vino bianco di Francia. Questo si prende con acqua nella quale siasi fatta cuocere della cannella” (p. 77).  Spesso nella diarrea, diceva ancora il Rosenstein, capita che “le glandole del mesenterio sono dure e ostrutte” ed allora “Le ostruzioni del mesenterio non possono essere meglio curate che colla cicuta o conio del dottor Störck della quale ogni giorno se ne prescrive una, due, tre, quattro o più grani soprabbevendovi tutte le volte del legger vino mielato o siero” (p. 79). E infine nella diarrea che egli chiamava “colliquativa” e per la quale “non v’ha rimedio… quel tanto che si può fare si è prolungare alcun poco la vita con piccoli clisteri di amido e latte con poco spirito di vino…” (p. 85). Anche nel vaiolo secondo il Rosenstein il vino trovava un  suo ruolo terapeutico nel caso di mancata eruzione delle vesciche vaiolose “… se non escono come dovrebbero, se rimangono piccole e continua insieme il vomito, se il polso è debole e celere, dobbiamo interpolatamente dare all’ammalato qualche cucchiajo di vino o di melicrato (sinonimo di idromele, ma anche di rimedio a base di miele e vino con l’eventuale aggiunta di varie erbe come salvia, artemisia, issopo, origano, Horminio e Betonica)  o lasciarli bere siero vinoso” (p. 116). Sempre nel vaiolo il vino ‘renano’ poteva essere utilizzato come componente di un rimedio antiemetico ad azione topica (!): “Se è troppo gagliardo si pone sull’epigastrio un sacchetto di menta e poco zafferano; ovvero si fanno cuocere queste specie nel vino del reno, e poste su panno doppio, e ben spremute s’applicano allo stomaco…” (p. 144). Mentre nei soggetti convalescenti dal vaiolo tornavano utili “per ridonare tono ai solidi rilasciati, la china-china e il vino acciajato”, un vino ottenuto con le vinacce e reso tale “con l’avervi tenuto dentro la limatura dell’acciaio, secondo che ordinariamente si costuma da’ medici” (p. 199)3. Un uso particolare del vino era quello contro un tipo di vomito: “quando il vomito è effetto di timore, s’incoraggisce il figlio, presentandogli anche del vino… (p.213). Caso clinico del tutto particolare, invece, quello di una bambino spaventato per essere caduto a terra intanto che era in braccio al padre cocchiere e che “…si spaventò talmente, che la madre sopravvenuta al rumore il levò da terra per morto, e sembrava in fatti un cadavero, essendo egli smorto, senza polso, cogli occhi, e colla bocca chiusa. Fu portato a letto, e involto in un panno bagnato di vin del Reno: Poco dappoi tornò in sé e comincio a gridar forte. Gli furono date alcune gocce di liquor di corvo di cervo succinato nel vin del Reno… e dopo alcuni giorni megliorò assai, ma fu quasi subito preso da una lunga diarrea, la quale non ebbe fine se non quando gli ordinai il vino acciajato di Londra…” (!) (p. 214). Anche l’ittero poteva trarre vantaggio “…dal vino aloetico alcalico di Londra preso nella stessa guisa d 15 a 20 gocce. (p. 244). Il Rosenstein consigliava anche l’utilizzo topico del vino nella febbre intermittente “… ponendo sullo stomaco un panno di flanella caldo bagnato con acqua della Regina o con spirito di vino…”, ma anche un rimedio per os a base di china-china, vino bianco di Francia (vini albi gallici optimi), buccia d’arancia e zucchero (p. 268). Il vino, secondo il medico svedese, era invece poco utile nelle infestazioni da vermi: “si dice che i vermi schivino il vino, ma ho visto vermi ancora vivi dopo dodici ore di permanenza nel vino” (p. 278), anche se in alcuni casi di verminosi si poteva somministrarlo per lenire alcuni sintomi dell’infestazione da vermi come “l’inquietudine, la pressione sotto il petto, la tensione di ventre”. Consigliava allora “vino con una cucchiaiata d’assenzio” (p. 295). In qualche caso il Rosenstein aveva comunque ottenuto risultati favorevoli prescrivendo “ai fanciulli l’infusione di un’oncia di semenzina (seme santo) in una libbra di spirito di vino rettificato”. La preparazione prevedeva che “dopo l’infusione di un giorno si filtra lo spirito e vi si scioglie dento un po’ di sal marziale puro. Il fanciullo ne inghiottirà quanto un cucchiaio di caffè alla mattina in un tempo di luna calante…” (p. 303). Anche nelle “palpitazioni di cuore”, sempre a proposito delle infestazioni da vermi, il Rosenstein utilizzava la tintura amara di rabarbaro per trenta giorni, ma se questa non aveva effetto allora: “… io dava alla stessa dose per alcune settimane il vino acciajato di Londra” (p. 304). Non poteva mancare l’impiego del vino nel “mal venereo”, anche in questo caso ad uso topico, ed in particolare ricorda che il signor Assessor Birchen medicava con buoni risultati le ulcere veneree “… per cinque settimane col solimato (sublimato di mercurio) sciolto alla dose di quattro o sei grani in un’oncia (circa 30 grammi) di spirito di vino” (p. 406) oppure, sempre nel mal venereo, dopo l’unzione con linimento a base di mercurio era utile detergere “il corpo con acqua di sapone appena spruzzata con spirito di vino” (p. 424). Dopo il Rosenstein citeremo qualche caso di utilizzo del vino nelle malattie dei bambini da parte di alcuni noti autori di trattati pediatrici. Ci riferiamo, ad esempio, a Cristopher Girtanner (Trattato delle malattie dei bambini, Pasquali, Venezia 1803). Il medico tedesco utilizzava lo “spirito di vino canforato” nel cefaloematoma (p. 26), ma anche nell’ernia ombelicale (p. 33), e il “vino rosso tiepido” come disinfettante dopo tutti i piccoli interventi chirurgici (es. recisione frenulo linguale). Secondo il Gitanner il vino tornava utile nella “rachitide”, somministrando “qualche volta un pajo di cucchiaj da caffè di vino vecchio” (p. 70). Il vino antimoniato di Huxham era da prendere in considerazione tra i rimedi per le “difficoltà di respiro” (p. 110).  Utile il vino anche nelle afte, nelle quali era da proscrivere, tra gli emetici, “lo sterco di pollo infuso nel vino di Francia” consigliato dal Rosenstein: “è un peccato che sì fatta genia di medicamenti deturpino frequentemente l’opera del Rosenstein” (p. 117). Il vino poteva essere vantaggiosamente utilizzato nella congiuntivite (P. 153). Così riteneva che nei vomiti ripetuti fossero utili gli “fomenti con panni di lino inzuppati nel vino di Spagna” (p. 168).  Anche l’Armstrong (Trattato sulle malattie più comuni ai bambini dalla loro nascita sino alla pubertà, Londra 1792) si affidava al vino come rimedio in alcune patologie. Ricordiamo ad esempio che “Allorché né i diuretici, né i vescicanti non hanno potuto arrestare i progressi dell’idrocefalo ho veduto un altro rimedio ritardare almeno e qualche volta prevenire interamente la catastrofe.  Questo rimedio è ben semplice, è il vino... Il malato sembrava moribondo: gli si diedero alcune cucchiajate di vino di Spagna non già sulla speranza di salvarlo, ma per non abbandonarlo interamente; e questo vino consigliato così dire per azzardo, lo ristabilì. Ne ho sempre dato in allora, tosto che ho veduto il polso rallentarsi o solamente diventar più debole come che assai di frequente. Ho preferito il vino di spagna come il più cordiale e il più aggradevole. Ne ho dato sino alla dose d’una mezza oncia d’ora in ora o al di là; ed ho sempre veduto che gli ammalati lo prendevano con singolare piacere, che longi dall’agitare li calma, diminuisce le loro angosce, se non previene la morte rende almeno l’agonia incomparabilmente più dolce e tranquilla” (p. 253). Anche il Frank (Joseph Frank, Sistema completo di Polizia Medica, Pirotta e Maspero, Milano 1807) a proposito della morte apparente dei neonati

Fig. 3 – Cristoph Girtanner, incisione, XVIII secolo

Fig. 4 – Joseph Frank, litografia, XIX secolo

sosteneva che nell’asfissia oltre al “soffregare alquanto le piante dei piedi e le due mammelle con una spazzoletta” poteva essere utile “succhiare alquanto la mammella sinistra (!?)…, gettare all’improvviso del vino od anche dell’acqua fredda sulla faccia, sul petto e sui genitali” (pp. 179-180).  Al termine della, diciamo così, rianimazione primaria, tra i vari rimedi da mettere in atto “converrà finalmente lavare il capo e la faccia col vino caldo e mettergliene sullo scrobicolo del cuore e sul bassoventre”. E anche nel cefaloematoma, il Frank asseriva di aver risolto il problema con “spirito di vino canforato” (p. 192 nota 1). Il Plenk (Joseph Jacob Plenck, Doctrina de cognoscendis et curandis morbis infantum, Geistinger, Vienna e Trieste 1807) alla pari del Frank riteneva che nell’Asphyxia pallida neonatorum fosse utile un “balneo tepido” a base di spirito di vino, ma anche “oris cavo instilletura vinum forte…”. (pp.13-14). Certamente meno indulgente e meno propenso all’uso del vino appariva l’Harris, (Walter Harris, De morbis acutis infantum, Smith. Londra 1789) che, sosteneva “… infantume naturae… vinum est maxime alienum…” (p. 23). Secondo un altro pediatra, l’inglese Wilson (Aforismi…sulle malattie dei bambini, Bolzani, Pavia, 1793), il vino poteva essere utilizzato come stimolante dell’appetito: “quando i bambini sono distolti dal loro naturale alimento…un debole siero vinoso fatto col vin bianco può servire all’uso” (p. 11). Ma anche nella rachitide “il vino somministrato giornalmente a piccole dosi fa buon effetto”. Tra i vari autori di testi sulle malattie dei bambini varrà forse la pena citare anche il francese Charles Michel Billard (Traité des maladies des enfants nouveau-nés et à la mamelle, Parigi 1837), che a più riprese nel suo trattato prende in considerazione l’uso del vino. Così, ad esempio, consiglia l’utilizzo di leggeri tonici come “alcune cucchiajate di vino di Malaga, o vino medicato alla china-china” nelle fasi di convalescenza della scarlattina dopo la desquamazione (p. 106); nella detersione delle ulcere nella rupia (manifestazione eruttiva della pelle caratterizzata da croste di aspetto simile a quello d'una valva d'ostrica), che si formano su lesioni ulcerative complicate da infezioni suppurative con un “miscuglio di acqua e vino” (p. 113); nella stomatite gangrenosa, dove tra i vari rimedi corroboranti “sarà sempre tuttavia lodevole il sostenere le forze del malato con una miscela di latte e brodo ossivero anche con qualche cucchiajo di vino di Malaga, apprestato entro la giornata” (p. 203); nella cosiddetta “diarrea d’estate”, dove il sig. Burns […] soleva con successo “nutrire il bambino con carne di bue, coll’arrowroot, con delle pappe, dandogli da bere del vino bianco” (p. 366); come corroborante anche nelle fasi di guarigione della “tosse convulsiva” (p. 458); nell’idrocefalo acuto, secondo quanto indicato dal Borsieri, che consigliava le fomentazioni con vino caldo aromatizzato”(p. 499). Citerei infine Valeriano De Gerloni, autore di un Compendio terapeutico delle malattie dei bambini (Tip. Mechitaristi, Vienna, 1857). Questi riteneva che numerose fossero le condizioni patologiche nelle quali il vino poteva essere chiamato in causa come rimedio, anche solo parziale. Citeremo ad esempio l’anasarca, l’atrophia infantum, il cefaloematoma, la blepharophtalmia neonatorum (p. 34 sotto forma di vino oppiato); la chlorosis pubertatis (p. 42), la bronchitis capillaris (p. 39: “si dà del vino…”); la bronchitis chronica, (p. 40, però “vino di Bordeaux”) nel croup (in realtà l’aceto di vino, p. 77). Importante infine nella Gangrena oris la somministrazione di vino come tonico “per rialzare lo stato delle forze” (p.182) e nelle condizioni di adinamia del tifo dove è preferibile il vino Malaga! (p. 293). Lontano dal voler essere una trattazione organica ed esaustiva sull’utilizzo del vino in ambito pediatrico come rimedio terapeutico o tonico e corroborante dall’antichità sin quasi ai giorni nostri, ricordo a tale proposito l’uso che se ne faceva nelle colonie estive come ricostituente !, l’articolo vuole solo ricordare la vasta gamma di patologie nelle quali il vino venne utilizzato da famosi medici del passato pensando che possa essere di stimolo ad una ricerca più ampia.

1 Edizione consultata quella edita da Conzatti a Venezia nel 1614.

2 I medici definiscono “vino stitico, il vino non dolce, né abboccato”: in Vocabolario domestico genovese-italiano di Angelo Paganini, Genova 1857, p. 97.

3 Voci, maniere di dire e osservazioni di toscani scrittori di Andrea Pasta, Brescia 1769, p. 3