L'angolo della storia

Basilico da Besler (Ocimum latifolium)Giovanni Nepomuceno Raimann nel 1826 così descriveva il raffreddore: “il catarro del naso, raffreddore (catarrhus narium, gravedo, coryza), incomincia con aridità, calore, ed otturamento del naso, solletico del medesimo, sternuti frequenti, continuo irritamento a soffiarsi il naso, ottuso dolor di capo, segnatamente nella regione dei seni frontali, compressione dell’orbita, con rossore, splendore degli occhi o lacrimazione involontaria “, una descrizione accurata che teneva conto delle osservazioni tramandatesi nei secoli sin dagli aforismi ippocratici. Una diagnosi semplice, dunque, ma con qualche eccezione.  Curioso al proposito l’episodio accaduto al Re di Spagna Pietro d’Aragona, il quale nel 1285 durante un suo viaggio venne “…colto da un gran freddo, e questo raffreddore venne accompagnato da brividi di febbre”.

Fu mandato subito a chiamare a Barcellona “maestro Alberto di Villanova e altri medici, e la mattina si fecero recar la sua orina, vi guardarono dentro, e tutti d’accordo convennero essere un raffreddore e che non v’era ombra di pericolo”. Peccato che il Monarca morì nel giro di pochi giorni deludendo Alberto di Villanova uno dei medici medioevali più famosi.  Nei secoli passati era opinione che il raffreddore, ancorché causato dal freddo, dal quale traeva il nome, avesse la sua origine nel cervello (solo più tardi vennero chiamati in causa i seni paranasali e frontali)  e da il Rheuma (catarro) scendesse verso le fosse nasali. “Lo sternuto – diceva Rhazes intorno al Mille – avviene nel cervello o nelle sue tuniche e il segno è che gli occhi piangono….”. E perciò per il medico arabo la terapia consisteva nel porre sul capo “foglie di portulaca o rasura di cucurbita con olio rosato”. Il  Gordonius, attivo a Montpellier  nel 1300, ribadiva che la cura, andava fatta con un empiastro di almastica, incenso e mirra, posto sulla parte anteriore della testa, in quanto in quella regione lo spessore della teca cranica è più sottile e quindi più soggetto al catarro. L’idea del raffreddore come espressione di catarro proveniente unicamente dalle cavità cerebrali resistette a lungo, tramandata ancor oggi nella definizione francese di corizza è “rhume de cerveau”  (ovvero reuma del cervello).

La terapia del raffreddore dalle origini  agli inizi del XX secolo è veramente variegata. Galeno sosteneva che  non vi fosse miglior rimedio del basilico secco pestato e settacciato (Ocymum siccum tusum ac cribratum), Scipione Mercurio, sul finire del XVI secolo, riteneva che i bagni agli arti con acqua calda fossero prodigiosi, meglio se fatti seguire da schizzettature all’interno del naso con una “penna d’oca pertugiata dalle due bande” di succo di bieta o succo di majorana con acqua di rose”.

Nel 1690 l’Ethműller affermava che qualora “..nares infantum in summitate narium sint obstructa….. optimum ausilium est oleo amigdala rum dulcis” applicato sia internamente, che esternamente. Tra le sostanze utilizzate nella cura del raffreddore troviamo la Soldanella (Hosenőhrl 1774), l’Althea, il Papavero erratico, i fiori di Sambuco e la Malva (Stőrck 1777), “il butirro fresco fatto cuocere con la maggiorana” (Herrenscwand 1789), “ le fomentazioni di acqua e aceto,,… e talora “un poco di polvere di tabacco nei fori nasali per eccitare lo sternuto” (Pensa 1840), le schizzettature nel naso di sostanze astringenti (Gruber 1866),   “…un pennellino asperso di olio di oliva, che si introduce 3 – 4 volte al giorno (Vogel 1871) sino all’uso della cocaina “..per insufflazione nel naso nella coriza acuta dei neonati” (Guttman 1892).

Nebulizzatore di Bergson (metà XIX secolo) Il Frank  (1837) proponeva anche le “…sangsues appliquees aux narines et aux tempes, ou derriere les oreilles et aux gencives…”(!). Per fortuna era un medico per adulti. Numerosi autori ponevano particolare attenzione all’epoca neonatale ed al lattante nei primi mesi di vita. Preoccupava il fatto che “...le narici dei fanciulli fossero spesso stoppate da una moccia densa, che loro impedisce di respirare liberamente pel naso, e che nel tempo stesso toglie la facoltà di poppare e d’inghiottire” (Buchan 1783). Lo stesso Buchan riferiva che alcuni medici ritenevano che fosse necessaria una “conveniente purgazione” (!) seguita da impacchi endonasali con “..pannilini inzuppati dentro un’oncia di acqua di majorana, in cui son fatti sciogliere due, o tre grani di vitriolo bianco”.

Ma egli si limitava a “stropicciare il naso del fanciullo con olio di mandorle dolci o butirro fresco” e a “..esporre il viso del fanciullo al vapore dell’acqua calda”. Di diverso parere il Lichtenthal (1838) che sosteneva che “la Corizza,  detto volgarmente raffreddore di naso, sparisce non di rado interamente in un tratto, come per incantesimo, tirando su per il naso dell’acqua ben fredda replicata più volte: se lo scolo del naso e gli altri sintomi molesti ritornano un’altra volta, si ripete il procedimento più volte al giorno, e fra poco cesseranno del tutto”. Nell’America del Sud veniva utilizzata la Gnaphalium viravira. Tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento alcune terapia invasive vennero abbandonate per il pericolo di sospingere “..materie nocive nei seni frontali e mascellari, o per la tromba di Eustachio nell’orecchio medio, con consecutive otiti e difetti dell’udito” (Concetti 1903).  Si tendeva allora a limitare terapie alle “..iniezioni di acqua tiepida o di soluzione di bicarbonato al ½ o all’1 per cento adoperando una siringa di gomma indurita” (Cazzaniga 1893), a “..togliere le mucosità con acqua tiepida” e “ai bagni ordinari o di mare”  (Copasso 1901) o infine alle “lavande nasali con una soluzione di cloruro di sodio allo 0.5 o all1 % mediante una piccola pera di gomma col becco molle. Si possono fare anche con acqua e sale…..” ma sempre e solo “a debole pressione” (Flamini 1914).

Proprio come oggi, dove si assiste ad un crescente utilizzo di un antico metodo orientale di pulizia nasale a base di acqua salata con il Neti Lota. Ricordiamo ancora che molti i testi di omeopatia dell’ottocento si occuparono di terapia del raffreddore utilizzando Camomilla (Benedetti 1837, Tripi 1850), Aconitum, Atropa, Bryonia, Dulcamara e soprattutto “il Solanum nigrum, che è il vero specifico per combattere questa malattia”  (Mengozzi 1859). Tra le terapie va ovviamente ricordata la terapia climatica  alla quale fu avviato ad esempio Papa Clemente XIII: “Siccome la salute di si degno Pastore ritrovavasi alcun poco alterata da raffreddori” dovette recarsi a Citavecchia “per ivi respirare l’aria marina ed aperta creduta confacievole alla salute..”. Non mancarono neppure  le cure miracolistiche quando a Bologna nel 1415 “… l’universale raffreddore avea miseramente attaccato tutta la città…”.

Fu allora che San Vincenzo Ferrerio non riuscendo a predicare per la tosse che risuonava nella chiesa disse: “Quietatevi da tanto tossire. E tanto bastò non solamente perché cessasse allora in un istante in tutti la tosse, ma perché si togliesse affatto quello epidemico influsso in tutta Bologna” (Teoli, 1735).